PENSIONI MILITARI ARRUOLATI 81/83, VINTO IL RICORSO ALLA CORTE DEI CONTI. L’INPS DEVE RIFARE I CONTI CON ARRETRATI ED INTERESSI
Un anno fa avevamo preannunciato in anteprima l’errore di calcolo pensionistico dell’INPS per quanto riguarda gli arruolati 81/83. La problematica è legata al periodo di servizio fino al 31 dicembre 1995 (anno nel quale le normative sulle pensioni sono state stravolte) in quella nebulosa amministrativa dove si è compressi tra la “retributiva” e la “contributiva”. Chi a quella data abbia maturato almeno 15 anni di servizio utile a pensione e non più di 20, ha diritto che la percentuale della sua pensione sia calcolata con il 44% della base pensionabile. Presto detto viene stilato un ricorso nel 2013 mentre il COBAR Umbria si attiva su tutte le sedi competenti per far rilevare l’errore che, non dimentichiamolo, comporta una deminutio della pensione di circa 150/250 euro al mese, ed interessa un gran numero di militari, tutti quelli arruolati negli anni 1981/1983 (più o meno, perché il calcolo del servizio utile pensionabile si fa contando persino i giorni).
E’ un Maresciallo dell’Arma, ora in congedo, che si accolla la responsabilità di spedire on line il primo ricorso con la determinazione, supportato dalla Rappresentanza militare di Perugia, di adire financo alla Corte dei Conti. Non servirà perché, dopo meno di 3 anni, la Direzione Centrale dell’INPS riconosce l’errore e gli ricalcola la pensione. La vicenda sembra finire qui. Quando l’INPS si accorge che cominciano a fioccare i ricorsi, cambia registro e non accoglie più le richieste dei militari, costretti, dunque, ad intasare le Corti dei Conti di tutta Italia.
Avevamo pubblicato in anteprima anche il fac simile del ricorso, disponibile cliccando qui
Oggi vi proponiamo in anteprima il lieto fine della vicenda militari/INPS. L’accoglimento del ricorso presso la Corte dei Conti, in Sardegna.
“Il ricorrente, ex sottufficiale dell’Aeronautica Militare, titolare di pensione dal 7 ottobre 2014, ha proposto ricorso contro l’INPS di Cagliari, chiedendo l’accertamento del proprio diritto – ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dall’art. 54 del D.P.R. n. 1092/73 – al ricalcolo, riliquidazione e pagamento del trattamento pensionistico erogato con attribuzione della percentuale del 44 per cento ai fini del calcolo della base pensionabile, il tutto con decorrenza dalla data di collocamento in congedo. Il ricorrente espone di essere cessato dal servizio a domanda con decorrenza giuridica ed amministrativa dal 7 ottobre 2014 e di essere titolare di trattamento pensionistico erogato dall’INPS (già INPDAP). Non potendo far valere alla data del 31.12.1995 un’anzianità contributiva pari o superiore a 18 anni, è destinatario del sistema di calcolo pensionistico c.d. “misto”. Il ricorrente, che ha maturato alla data del 31 dicembre 1995 un’anzianità – in attività di servizio – di più di 15 anni e meno di 20 anni di servizio utile (nello specifico 17 anni, 4 mesi e 28 giorni), sostiene di essere destinatario del trattamento previsto dall’art. 54 del d.P.R. n. 1092/73, per il quale “la pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile”. Tuttavia, il trattamento pensionistico in godimento gli è stato invece calcolato con l’attribuzione della minore e più sfavorevole aliquota di cui all’art. 44 del medesimo d.P.R. per il quale “la pensione spettante al personale civile con l’anzianità di quindici anni di servizio effettivo è pari al 35 per cento della base pensionabile … aumentata di 1,80 per ogni ulteriore anno di servizio utile fino a raggiungere il massimo dell’ottanta per cento”.
Con nota in data 28.06.2017, l’Istituto ha respinto la richiesta avanzata adducendo che “il riconoscimento dell’aliquota del 44% da applicare per il calcolo della pensione” fosse “attribuito esclusivamente al personale militare che, all’atto di cessazione, può vantare un servizio utile complessivo tra i 15 ed i 20 anni (da intendersi come non meno di 15 e non più di 20 anni) e con il sistema di calcolo esclusivamente retributivo” e confermando la correttezza del calcolo del trattamento pensionistico in pagamento.
Secondo la Corte dei Conti, “la pensione del ricorrente è stata liquidata con il cd. sistema misto (retributivo/contributivo), poiché l’interessato, alla data del 31 dicembre 1995 (art. 1, comma 13 legge n. 335/1995), non possedeva un’anzianità contributiva di almeno diciotto anni. Conseguentemente, il suo trattamento di quiescenza è stato liquidato secondo il sistema delle quote di cui al precedente comma 12 della disposizione citata, il quale prevede che “per i lavoratori iscritti alle forme di previdenza di cui al comma 6 che alla data del 31 dicembre 1995 possono far valere un’anzianità contributiva inferiore a diciotto anni, la pensione è determinata dalla somma:
- della quota di pensione corrispondente alle anzianità acquisite anteriormente al 31 dicembre 1995 calcolata, con riferimento alla data di decorrenza della pensione, secondo il sistema retributivo previsto dalla normativa vigente precedentemente alla predetta data;
- della quota di pensione corrispondente al trattamento pensionistico relativo alle ulteriori anzianità contributive calcolato secondo il sistema contributivo”.
La questione dell’aliquota di rendimento applicabile si pone, come è evidente, esclusivamente per la quota A, ovverosia quella calcolata con il sistema retributivo. Giusta il disposto della norma, al suddetto fine va fatta applicazione della normativa vigente alla data del 31 dicembre 1995. Nel caso, come quello che interessa, del personale militare, l’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973, vigente alla data del 31 dicembre 1995, prevede che “la pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile, salvo quanto disposto nel penultimo comma del presente articolo (comma 1). La percentuale di cui sopra è aumentata di 1.80 per cento ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo (comma 2)”. Come detto, la difesa dell’INPS obietta che la norma non potrebbe trovare applicazione nel caso del ricorrente per due ragioni. In primo luogo, si sostiene, l’aliquota del 44% si applicherebbe soltanto a coloro che siano cessati dal servizio con un’anzianità contributiva compresa tra i quindici e i venti anni di servizio. In secondo luogo, essa troverebbe applicazione unicamente per coloro la cui pensione sia calcolata unicamente con il sistema retributivo. Tuttavia, entrambe le affermazioni non trovano riscontro nella normativa. Per quanto concerne la prima, la lettera del primo comma dell’art. 54, su cui sostanzialmente si basa l’interpretazione data dall’INPS, deve invece intendersi nel senso che l’aliquota ivi indicata vada applicata a coloro che possiedano un’anzianità contributiva compresa tra i 15 e i 20 anni, mentre il successivo comma chiarisce che la disposizione del comma 1 non può intendersi limitata a coloro che cessino con un massimo di venti anni di servizio (come opinato dall’INPS), atteso che esso prevede che spetti al militare l’aliquota dell’1.80% per ogni anno di servizio oltre il ventesimo. Come correttamente evidenziato dalla difesa del ricorrente, la disposizione non avrebbe senso qualora si accedesse alla tesi dell’amministrazione. La seconda affermazione, che presumibilmente costituisce un corollario della prima, neppure può essere condivisa, non trovando peraltro nessun riferimento in alcuna norma. Lo stesso INPDAP, nella circolare n. 22/2009 (allegato n. 7 al ricorso), aveva del resto chiarito che le norme citate andavano applicate nel senso ora detto. Il ricorso, siccome fondato, va pertanto accolto. Sugli arretrati spettanti per effetto dell’accoglimento del ricorso competono al ricorrente gli accessori, ovvero gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, la seconda per la sola parte eventualmente eccedente l’importo dei primi, calcolati con decorrenza dalla scadenza di ciascun rateo di pensione e sino al pagamento degli arretrati stessi.”