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PASSAGGIO DELLA STECCA TRA MILITARI: DA RITO CAMERATESCO A CERIMONIA

(di Saverio Cioce) – La pioggia non ha sminuito la solennità del Mak Pi
100, la cerimonia che da sempre accompagna la fine degli studi dei cadetti
dell’esercito. Niente saggio ginnico e reparti schierati attorno al cortile
d’onore, sotto il colonnato: davanti a loro i vertici della forza armata e dei
carabinieri, garanti e testimoni delle nuove leve che guideranno a breve i
soldati italiani.

Anche ieri in Accademia si è rispettata la
tradizione, con il “Passaggio della stecca” tra i futuri ufficiali del 195°
corso “Impeto” e i loro colleghi più giovani che stanno finendo il primo anno
dio corso. È una sorta di addio a Modena, al biennio di fatica tra
esercitazioni, addestramento alle armi e soprattutto alle tante ore passate sui
libri. Quando l’abitudine prese piede era una sorte di rito cameratesco; i più
anziani dovevano dimostrare di aver cura deella divisa e per lucidare i bottoni
in metallo sulle divise blu avevano una piccola stecca d’osso che li agganciava
e li teneva sollevati dal panno, per non fare macchie. Finito il biennio quel
piccolo oggetto che simboleggiava l’ordine e la disciplina formale della divisa
veniva ceduto al cadetto più giovane, che avrebbe fatto lo stesso, a sua volta,
a fine corso.
Oggi quel rito privato è diventato pubblico, la
stecca è di legno, gigantesca, e ogni corso fissa la sua targhetta, un anno
dopo l’altro. Altrettanto pubblico è il passaggio di stato, da allievi a
ufficiali dell’esercito italiano, con la prima stelletta in arrivo fra tre
mesi, i cento giorni per l’appunto, quando il cadetto diventerà sottotenente a
tutti gli effetti .
Per la prima volta nella storia della scuola
militare il comandante si è rivolto ai cadetti chiamandoli “colleghi” per
augurare loro un cordiale in bocca al lupo. Anche questo è un segno dei tempi
perchè i vertici delle forze armate sanno bene quante energie hanno profuso per
trasformare in seicento giorni ex-liceali in comandanti di uomini, mettendoli
in grado di padroneggiare con la stessa tenacia i sistemi d’arma, le lingue
straniere per operare nei contesti internazionali. «Cari anziani del 195° – ha
esordito il comandante dell’Accademia, generale Salvatore Camporeale – avete
l’onore e l’onere di guidare gli allievi più giovani del 196°: siatene degni.
Lealtà, senso del dovere, la consapevolezza di dedicare le vostre esistenze che
porta a rischiare la vostra vita per la patria sono valori che appartengono al
vostro agire quotidiano. Andrete presto nei reparti operativi; accettate con
umiltà consigli e suggerimenti ma siate coraggiosi perchè questa è la prima
virtù di ogni soldato».
Concetti analoghi anche da parte del generale Danilo
Errico, capo di Stato Maggiore dell’esercito che ha salutato il padrino del
corso, il generale Aiosa e si è rivolto direttamente ai cadetti: «In questi due
anni l’Accademia è stata una palestra di vita – ha detto tra l’altro – Vi
attende un percorso ancora lungo ma i sacrifici richiesti sono indispensabili
per misirarsi con le sfide di oggi».
I 159 allievi hanno ascoltato impassibili sotto il
kepì i saluti e gli auguri; solo i genitori, affacciati nel loggiato del piano
superiore, hanno potuto esternare la loro commozione con gli amici più cari. Ma
tutto è volato via presto. Niente saggio ginnico per il maltempo, tutta
l’attesa è concentrata per stasera, con la cena di gala e il ballo delle
debuttanti, sempre sperando che la pioggia conceda una tregua.
I prossimi giorni saranno dedicati agli esami
finali, prima delle esercitazioni in montagna e un mese di vacanza. Subito si
ricomincerà nelle scuole di specializzazione.

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