“NON MI FACCIO COMANDARE DA UNA FEMMINA”. SOTTOCAPO DELLA MARINA MILITARE CONDANNATO
((c) photo by Teresa Monaca) – La Corte di Cassazione con la sentenza nr. 51864/2018 ha confermato la condanna per un Sottocapo della Marina Militare reo di forzata consegna, insubordinazione con ingiuria e disobbedienza.
I fatti contestati sono accaduti tra il 2015 ed il 2016 a bordo di Nave Martellotta, di stanza alla Spezia, ove l’imputato, sottocapo di 1° classe, prestava servizio con mansioni di cuoco. La forzata consegna era riferita alla condotta tenuta allorché il sottocapo, nella giornata del 4 febbraio 2016, era entrato nel locale del Corpo di guardia e si era impossessato di taluni registri, sottratti e portati via, nonostante la contraria intimazione del responsabile del servizio, un sottocapo di 3a, in tal modo impedendo ai militari addetti di osservare le prescrizioni di detenzione e custodia dei registri stessi e di loro utilizzazione per l’annotazione delle presenze;
L’insubordinazione era riferita alla condotta tenuta poco dopo, allorché il sottocapo, nel corso dell’assemblea generale dell’equipaggio, dopo l’intervento del sottotenente di vascello F. B., ufficiale in seconda della Nave, che gli aveva ribadito l’obbligo di rispettare i doveri connessi al suo stato, ne offendeva il prestigio, alla presenza di due militari profferendo platealmente a voce alta: «ma guarda questa! Io non devo dar conto a nessuno […] io sono un maschio e ho girato il mondo e non mi faccio comandare da una femmina»
La disobbedienza, aggravata dal grado rivestito, era riferita alla antecedente condotta del 16 aprile 2015, allorché il sottocapo, dopo essersi presentato al Corpo di guardia per uscire dalla Base, e dopo che gli era stato rappresentato che il suo permesso non era valido, trasgrediva l’ordine, attinente al servizio e alla disciplina, di non allontanarsi e di attendere l’arrivo del sottotenente di vascello B.
Il sottocapo si è difeso lamentando la mancata audizione del suo comandante che «avrebbe potuto riferire circostanze essenziali per cogliere l’inesistente offensività della sua condotta», spiegando di aver preso i registri perché «presentavano incongruenze, poi verificate dai carabinieri, e lui da buon militare le voleva denunciare». E di aver pronunciato le parole contro la superiore in uno «stato emotivo acuito dalla convinzione di stare nel giusto». Avrebbe subito «pressioni per desistere dalle contestazioni e dalle denunce», e «trovandosi in assemblea, denigrato, mortificato e attaccato per aver diligentemente denunciato un illecito», avrebbe reagito con una «condotta inurbana ma non penalmente illecita». Non avrebbe «mai inteso dire, però, di non voler essere comandato da una donna».
La Suprema Corte di Cassazione ha comunque ritenuto che i reati ci fossero, confermando sette mesi di reclusione militare per i primi due riducendo da 2 mesi a 1 e 10 giorni la pena per disobbedienza.