NAUFRAGIO DEI BAMBINI, LA MARINA MILITARE FECE ALLONTANARE LA NAVE DEI SOCCORSI
I pm chiedono l’archiviazione dell’inchiesta. Ma non tutte le comunicazioni sarebbero state messe a loro disposizione. Una in particolare riguarderebbe la decisione ai vertici del comando della Marina militare che ordinò alla Libra di andare a nascondersi oltre l’orizzonte, anziché partecipare alle operazioni di salvataggio. DI FABRIZIO GATTI per l’Espresso.
Sul naufragio dei bambini gravano due richieste di archiviazione. Una da parte della procura di Roma, la seconda da parte della procura di Agrigento, contro le quali si sono opposti i genitori sopravvissuti al disastro, assistiti dagli avvocati Arturo Salerni, Gaetano Pasqualino e Alessandra Ballerini. La loro necessità di giustizia per i presunti, sconcertanti ritardi nei soccorsi è ora nelle mani dei giudici.
Quello che emerge dagli atti e dalla ricostruzione fatta da “L’Espresso”, però, è che non tutte le comunicazioni sarebbero state messe a disposizione dei magistrati. Una in particolare riguarderebbe la decisione ai vertici del comando della Marina militare che ha ordinato alla nave Libra di allontanarsi e andare a nascondersi oltre l’orizzonte, anziché partecipare ai soccorsi: quel pomeriggio dell’11 ottobre 2013 il pattugliatore italiano è soltanto a 17 miglia dal peschereccio carico di bambini che sta affondando, un’ora di navigazione
Ma nemmeno l’elicottero a bordo della Libra viene lanciato in volo per una rapida ed efficace ricognizione «to assess the status», per valutare la situazione. L’altra comunicazione, una telefonata probabilmente non ascoltata per intero dagli investigatori, contiene il rifiuto della centrale operativa della Guardia costiera italiana alla sala operativa delle Forze armate di Malta, autorità responsabile dei soccorsi, che invece insiste per l’impiego della Libra. E si conclude con l’invito, pronunciato da un ufficiale italiano, a far intervenire una nave commerciale, anche se la più vicina è a 70 miglia. Soltanto alle 17.04, all’ennesimo sollecito maltese, la Marina militare fa finalmente avvicinare nave Libra, ma senza fretta, solo per valutare la situazione. Ormai è tardi. Alle 17.07, dopo cinque ore di inutile attesa, il barcone con 480 profughi siriani si rovescia nel mare quasi calmo: almeno 268 annegati, tra cui 60 bambini, quasi tutti dispersi e mai più recuperati.
Un tempestivo intervento avrebbe probabilmente permesso alla Libra di raggiungere il barcone già tra le 14.30 e le 15. Proprio quel naufragio, soltanto una settimana dopo l’affondamento di un altro barcone con i 366 morti a Lampedusa, convince il governo italiano ad avviare nel giro di sette giorni l’operazione “Mare nostrum”, come ha raccontato sabato 13 maggio a “Repubblica” Enrico Letta, presidente del Consiglio in quei tragici giorni. Se la Marina avesse messo subito a disposizione nave Libra, grosso pattugliatore adatto proprio a quel tipo di interventi, probabilmente non ci sarebbe stata una seconda carneficina in otto giorni, il governo non avrebbe avviato “Mare nostrum” e non saremmo arrivati dove siamo oggi. Le presunte negligenze di quel pomeriggio, come osservano gli avvocati delle famiglie che hanno letteralmente perso i loro bambini in mare, hanno avuto ripercussioni sulle azioni dei governi italiano ed europei per tutti i mesi successivi. Il recente coinvolgimento nei soccorsi dei barconi della Guardia costiera libica aumenta ulteriormente la possibilità di uno scaricabarile tra autorità con possibili esiti tragici. Mercoledì 10 maggio l’avvicinamento di una motovedetta libica, richiesto da Roma, ha rischiato di concludersi con lo speronamento di una nave di soccorso di una Ong civile, sfiorata a prua dall’unità militare di Tripoli.
L’inchiesta giornalistica de “L’Espresso” finisce intanto in Parlamento. Mercoledì 17 maggio la ministra della Difesa, Roberta Pinotti, risponderà al “question-time” presentato dal capogruppo di Sinistra italiana, Giulio Marcon. Secondo i procuratori di Roma, Giuseppe Pignatone, e di Agrigento, Renato Di Natale, che hanno firmato le richieste di archiviazione di proprio pugno, non ci sarebbe più nulla su cui indagare e non ci sarebbero responsabilità da parte della Marina e della Guardia costiera italiane. Scrivono i magistrati romani: «Alle 16.44, a seguito di telefonata di Roma a Malta per aggiornamenti, si viene a sapere che l’aereo maltese riferisce che l’imbarcazione si è fermata. Roma contatta Malta dicendo che “la nave militare italiana è un assetto importante per identificare nuovi bersagli”, cioè i barconi carichi di profughi, e sarebbe meglio non muoverla ma “se quella di spostare nave Libra è l’unica soluzione, allora possono utilizzarla”».
La telefonata è la stessa pubblicata in parte al termine del videoracconto “Il naufragio dei bambini”. Sintetizzata così, nella forma in cui la Guardia di finanza delegata per le indagini l’ha consegnata alla Procura, sembra effettivamente che la Guardia costiera italiana voglia mettere a disposizione la Libra e che i colleghi di Malta perdano tempo. In realtà, dopo la frase riportata dai magistrati romani, l’ufficiale italiano al telefono dice esattamente il contrario. Perché questa parte manca nella richiesta di archiviazione?
È una telefonata a tratti surreale, tra l’ufficiale di servizio nella sala operativa della Guardia costiera di Roma, il tenente di vascello Antonio Miniero, 42 anni, che non figura tra gli indagati, e l’ufficiale di servizio maltese, un maggiore donna. Dura otto minuti. Dice il tenente Miniero: «Madam, riguardo il vostro ultimo fax, ho alcune domande. Voi sapete che la nave da guerra rappresenta una unità importante che ha lo scopo di avvistare i nuovi obiettivi nell’area Sud. Se avete bisogno che mandiamo una nave da guerra a soccorrere le persone, successivamente con la nostra nave da guerra abbiamo l’incarico di trasferire (i profughi) alla costa più vicina. Io penso che non sia il miglior modo di operare perché poi non avremmo unità nell’area, in grado di avvistare nuovi obiettivi». E Malta: «Aaah, è la P402? La P402 è la nave da guerra». P 402 è l’identificativo ottico, cioè la sigla, di nave Libra.
I maltesi scoprono dal loro aereo ricognitore che è vicinissima al peschereccio che sta affondando. Malta lo ribadisce nella conversazione, aggiorna la situazione del barcone che ormai si è fermato ed è alla deriva e aggiunge: «Abbiamo anche detto a una nave civile di provare ad andare nell’area, ma è lontana circa 70 miglia nautiche dal peschereccio». E il tenente Miniero: «Oh bene, penso che sarebbe una buona idea cominciare a coinvolgere anche una nave commerciale. Naturalmente ho già passato il vostro fax alla nostra Marina. Ma abbiamo bisogno anche di questo tipo di…». Malta: «Di attività». Miniero: «Di attività, perché dobbiamo anche vigilare, sai, perché sappiamo che ci dovrebbero essere altri obiettivi oggi. Quindi, se la nostra nave da guerra abbandona l’area, dopo non abbiamo altre navi per avvistare l’area. Questo è un altro punto importante».
L’ufficiale donna da Malta, con tono molto sorpreso: «Cosa stanno cercando di avvistare? Quali sono le caratteristiche di queste imbarcazioni da avvistare: migranti o altri obiettivi?». Miniero: «Migranti». Malta: «Ok, quindi stai dicendo che se gli dite di spostarsi (alla Libra), non avete altre navi nell’area?», anche se la Espero, altro pattugliatore della Marina, è a 50 miglia. Miniero: «Sì, di solito lavoriamo in questo modo. Usiamo le nostre unità più grandi per gli avvistamenti e dopo, se ci sono navi commerciali, noi preferiamo impiegare loro. E dopo organizzare rendez-vous con le nostre motovedette, quelle piccole. Perché non vogliamo perdere l’area, vogliamo sempre mantenere alcune navi per avvistare nuovi obiettivi». Malta: «Aaaah, ok, capisco». E Miniero: «Naturalmente, nel caso fosse l’ultima e unica soluzione, usiamo anche le navi da guerra per i trasferimenti. L’abbiamo fatto alcune volte». Infatti, l’ufficiale di servizio nella sala della Guardia costiera lo dice. Ma non si ferma qui. Sentite cosa aggiunge subito dopo. Ed è la parte che forse i magistrati non hanno sentito.
Malta: «Avete altre navi che possono andare nell’area? C’è qualcosa nelle vicinanze? Vi abbiamo dato la posizione. Ma noi non abbiano nessuna nave nell’area. È a Sud di Lampedusa, capisci? Possiamo richiamare una delle nostre navi e provare a mandarla ma richiederebbe un po’ di tempo per arrivare. Voi non avete nient’altro nell’area?». Miniero: «Nell’area? Te l’ho detto c’è…». Malta: «Solo questa qua, sì (la Libra)». Miniero: «Avete una posizione aggiornata del peschereccio?». Malta: «Sì, sono fermi». Miniero: «Bene, Madam, penso che il capo deve provare a trovare una nave commerciale». E Malta, ormai rassegnata al rifiuto dell’Italia: «Sì, proveremo».
Quindi la sala operativa di Roma non solo sa già, dalle chiamate da bordo delle 12.26 e 12.39, che il peschereccio imbarca acqua, ne ha già mezzo metro nello scafo (ore 12.39), ci sono due bambini feriti e grossi problemi con il motore, come ha più volte ripetuto al telefono satellitare Mohanad Jammo, 40 anni, il medico di Aleppo che perderà in mare i figli di 6 anni e nove mesi. Ma Malta lo ribadisce dopo le richieste formali via fax, perché i maltesi hanno un aereo in volo sul barcone e sulla Libra. E l’ufficiale di servizio di Roma non conclude rispondendo con le parole riportate nella richiesta di archiviazione di Roma, ma con l’invito chiaro a trovare una nave commerciale, lontana 70 miglia. Tanto che il maggiore maltese, rispetto alla prassi delle altre telefonate in cui gli operatori si presentano semplicemente come “duty officer”, ufficiale di servizio, chiede invece alla fine, pensando già al rapporto che scriverà: «Con chi sto parlando, per favore?». E l’italiano: «Sono l’ufficiale di servizio». Lei: «Sì, qual è il suo nome?». Lui: «Il mio nome è Miniero».
Pochi minuti prima, alle 16.38, lo stesso ufficiale italiano cerca di convincere il comando operativo della Marina (Cincnav) a inviare la Libra, come già hanno chiesto i maltesi via fax: «Sarebbe il caso…», suggerisce invano Miniero al capitano di fregata Nicola Giannotta, 43 anni, in servizio alla centrale operativa aeronavale della Marina militare. Anche Giannotta fin dalle 13.34 chiede al suo superiore, il capitano di fregata Luca Licciardi, 47 anni, capo della sezione attività correnti del Cincnav, se deve inviare la Libra. Ma la risposta è «non ancora». E alle 15.37, quando i maltesi non avendo ancora scoperto la vera posizione ravvicinata della Libra muovono una loro motovedetta lontana oltre due ore di navigazione, Giannotta domanda a Licciardi che cosa deve riferire al pattugliatore italiano. E il capitano Licciardi: «Che non deve stare tra i coglioni quando arrivano le motovedette… te lo chiami al telefono, oh, stanno uscendo le motovedette, non farti trovare davanti ai coglioni delle motovedette che sennò questi se ne tornano indietro».
Giannotta obbedisce e trasmette l’ordine alla nave, comandata da Catia Pellegrino, 41 anni, che a bordo non sa nulla dello scaricabarile in corso: «Perché se vi vede a un certo punto (la motovedetta maltese)… eh, gira la capa al ciuccio e se ne va», riferisce Giannotta. Così la Libra, che si trova a sole 17 miglia dai bambini siriani e dai loro genitori, invece di avvicinarsi si allontana in direzione opposta fino a 19 miglia. E si nasconde dalla congiungente tra Malta e il barcone, la rotta più breve, restando in attesa oltre l’orizzonte. Licciardi, Giannotta, Catia Pellegrino e Leopoldo Manna, capo della centrale operativa di Roma della Guardia costiera, sono gli unici quattro indagati per i quali la Procura di Roma ha chiesto l’archiviazione, anche per non essere stati consapevoli, secondo i magistrati, dell’effettivo pericolo a bordo del peschereccio: «La loro azione può ritenersi rispettosa della complessa e dettagliata disciplina di settore… In questo senso nessun addebito penalmente rilevante può essere mosso agli indagati», sostengono i pubblici ministeri.
Per la Procura di Agrigento invece l’omissione di soccorso c’è stata: ma, è scritto nella richiesta di archiviazione, «emergerebbero, senza tema di smentita, responsabilità per gli omessi soccorsi in capo alle autorità maltesi e ciò per la indubbia circostanza che l’imbarcazione dei migranti, al momento del naufragio, si trovava inequivocabilmente nelle acque territoriali di quel Paese». Probabilmente una svista: perché le acque territoriali arrivano a 12 miglia dalla costa, mentre il peschereccio carico di bambini è a 118 miglia da Malta. Il dottor Jammo e i suoi sfortunati compagni di fuga dalla Siria e dalla Libia in guerra, pur essendo a 61 miglia da Lampedusa, stanno affondando nell’area di competenza maltese per la ricerca e il soccorso in mare. Proprio per questo Malta, come autorità di coordinamento, ha chiesto più volte agli italiani l’impiego della Libra. Senza sapere che il comando della Marina militare italiana l’aveva mandata a nascondersi oltre l’orizzonte.