Avvocato Militare

MILITARI E FORZE DI POLIZIA: CONTEGNO E RISERVATEZZA NELL’UTILIZZO DEL WEB

L’Avvocatura dello Stato ha delineato una linea interpretativa omogenea nell’ambito del Comparto Difesa — Sicurezza circa la compatibilità dell’attuale disciplina normativa e regolamentare in tema di libertà d’espressione del personale delle Forze Armate e delle Forze di Polizia col diritto alla manifestazione del pensiero da parte dei militari, in considerazione della necessità dell’adeguato riserbo circa il servizio istituzionale svolto. L’esigenza di tale parere è sorta dalla constatazione che il crescente aumento di forme di comunicazione tramite internet incrementa il rischio di divulgazione di informazioni riservate e la possibilità di aggirare il dato normativo, attraverso, tra l’altro, la costituzione di associazioni tra militari, le quali, al contrario, sono soggette ad autorizzazione ministeriale e risultano comunque vietate se a carattere sindacale.

Il generale riconoscimento della libertà di corrispondenza e di manifestazione del proprio pensiero necessita tuttavia, nello specifico ambito oggetto della presente consultazione, relativo al comportamento dei militari, di limitazioni imposte da esigenze di carattere istituzionale. Tale tipo di previsione è contenuta a livello sovranazionale nell’ad 10 della CEDU, il quale, una volta riconosciuta al primo comma ad ogni persona la libertà d’espressione, intesa come libertà d’opinione e libertà di ricevere e di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera, prevede al secondo comma che “L’esercizio di queste libertà, poiché’ comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario”. L’esigenza di una limitazione della libertà di espressione si manifesta in particolare proprio nell’ambito militare, dove si pone a garanzia della riservatezza delle operazioni e delle procedure nelle quali si espleta l’attività dei Corpi di appartenenza dei singoli dipendenti, e trova esaustiva disciplina all’interno del Codice dell’Ordinamento Militare, le cui disposizioni, pur limitative della libertà di manifestazione del pensiero, devono ritenersi conformi a Costituzione in ragione della particolarità dell’ordinamento nel quale sono poste e tenuto conto del fatto che la giurisprudenza avvalora la loro validità in virtù dell’interesse pubblico cui sono preposte.

L’art. 1472 del d.lgs. n. 66 del 15 marzo 2010, in particolare, pone quale limite alla libera pubblicazione degli scritti, alla partecipazione a pubbliche conferenze ed alla pubblica manifestazione del pensiero la circostanza che “si tratti di argomenti di carattere riservato di interesse militare o di servizio, per i quali deve essere ottenuta l’autorizzazione”. L’attuale portata della limitazione risulta comunque ridotta rispetto al testo originario, che nella versione del 2010 prevedeva che la libertà di espressione dovesse essere subordinata ad una previa autorizzazione non solo laddove si trattasse di argomenti a carattere riservato di servizio, ma anche laddove vi fosse una “connessione” al servizio. L’art. 722 del D.P.R. 90 del 2010, nel precisare i limiti della disciplina recata dal d.lgs. 66 del 2010, impone ai militari l’acquisizione e il mantenimento dell’abitudine al riserbo su argomenti o notizie la cui divulgazione potrebbe recare pregiudizio alla sicurezza dello Stato, ed esclude che i militari possano divulgare notizie attinenti al servizio che, anche se insignificanti, possano costituire materiale informativo. Giova evidenziare che tali materie, in virtù del dato normativo regolamentare, devono essere escluse dalle conversazioni private, anche se hanno luogo con i familiari. Tale specificazione rende ancor più evidente l’importanza del mantenimento del riserbo in un luogo privo di confini delimitati quale è la rete internet, dove l’indiscriminato accesso alle informazioni rischierebbe di rendere di dominio pubblico notizie che per loro natura dovrebbero rimanere circoscritte ad un limitato numero di persone in virtù delle peculiari funzioni svolte. Le norme in questione, dunque, se da un lato limitano la libertà d’espressione degli appartenenti alle Forze Armate, dall’altro perseguono una finalità di carattere istituzionale. La giurisprudenza, muovendosi nel solco delle suddette norme, non solo ne respinge le censure di illegittimità costituzionale (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 27 maggio 2003, n. 1208, che ha riconosciuto “legittima la limitazione della libertà di manifestazione del pensiero dei militari su argomenti di carattere riservato”), ma pone l’accento anche sulla peculiarità del ruolo svolto dai militari, al fine di sottolineare che se è corrispondente al vero che anche a tale categoria di dipendenti pubblici “va garantita la pienezza della libertà di manifestazione del pensiero”, essa, pur potendosi anche esplicare mediante l’esercizio del diritto di critica, deve naturalmente “porsi entro i consueti canoni costituzionali, sostanzialmente riconducibili al rispetto della continenza, ossia del linguaggio appropriato, corretto, sereno e obiettivo, della pertinenza, quale esistenza di un pubblico interesse alla conoscenza e alla divulgazione del fatto o dell’opinione, e della veridicità, cioè della corrispondenza tra fatti riferiti e accaduti o, quanto meno, della rigorosa e diligente verifica dell’attendibilità dei fatti narrati e riferiti. Detti canoni, indubbiamente, assumono una specifica caratterizzazione nel caso in cui vengono in rilievo le esigenze di garanzia dell’immagine del Corpo della Polizia e, correlativamente, i doveri di fedeltà e rettitudine dei dipendenti” (T.A.R. Palermo, sez. 1, 24 luglio 2014, n. 2025). Con particolare riguardo all’esercizio del diritto di critica, in cui può sfociare la trattazione di informazioni pertinenti al servizio, il Consiglio di Stato ha inoltre osservato come nei contesti sociali per i quali vige una disciplina comportamentale più rigorosa, quali quelli assoggettati ad un regolamento di disciplina (come avviene peri corpi militari ed anche per il personale dell’Amministrazione della pubblica sicurezza), deve coerentemente intendersi che esso “oltre a trovare un limite nelle norme penali, debba essere esercitato con modalità tali da non travalicare i principi di correttezza espressamente stabiliti dalla normativa in materia disciplinare, non potendosi ammettere che la finalità di critica costituisca causa di giustificazione di ogni tipo di infrazione alle regole di comportamento da applicarsi nell’ambito particolare considerato. L’esercizio del diritto di critica, che si inserisce nel quadro delle garanzie poste dall’art. 21, Cost., per la libera manifestazione del pensiero, trova un proprio limite specifico nella necessità che le espressioni usate, in relazione al costume sociale ed alle modalità espressive comunemente usate, non integrino una lesione penalmente rilevante di altre posizioni giuridiche tutelate dall’ordinamento, come avviene ove possa configurarsi il reato di diffamazione” (Cons. Stato Sez. IV, 27-04-2005, n. 1949). L’insegnamento fornito dalla giurisprudenza, dunque, pone a carico dei militari l’obbligo di contenere l’esercizio del diritto di critica nei limiti del linguaggio appropriato, corretto, sereno ed obiettivo, ed evidenzia, in aggiunta, come l’assenza di tali requisiti non solo determini l’irrogazione di sanzioni disciplinari militari, ma possa integrare, nei casi più gravi, fattispecie di rilevanza penale.

Con riferimento alle notizie relative alle indagini, alle procedure e agli strumenti utilizzati, risulta evidente come la loro divulgazione potrebbe frustrarne gli scopi, e in virtù dell’esigenza di salvaguardia dell’efficienza delle funzioni svolte si giustifica la previsione della sanzione della consegna di rigore quale strumento di contrasto di comportamenti lesivi del dovere di riserbo sugli argomenti che si riferiscono alla difesa militare, allo stato di approntamento ed efficienza delle unità, alla sicurezza del personale, delle armi, dei mezzi e delle installazioni militari (art 751, lett. a n. 5 d.p.r. 90/2010) e delle prescrizioni concernenti la tutela del segreto militare e d’ufficio (art. 751, lett. a n.6 d.p.r. 90/2010). La medesima sanzione risulta altresì prevista avverso la trattazione pubblica non autorizzata di argomenti di carattere riservato di interesse militare e di servizio o comunque attinenti al segreto d’ufficio (art. 751, lett. a n. 7 d.p.r. 90/2010), nonché avverso la detenzione e l’utilizzo di macchine fotografiche o cinematografiche, o di apparecchiature per registrazione fonica o audiovisiva laddove ne sia stato fatto espresso divieto (art. 751, lett. a n. 37 d.p.r. 90/2010). La limitazione alla libera pubblicazione degli scritti, alla partecipazione a pubbliche conferenze e alla pubblica manifestazione del proprio pensiero si estrinseca nelle circostanze previste dall’art. 1350 del Codice dell’Ordinamento militare, comprensive delle ipotesi in cui il militare svolga l’attività di servizio, si trovi in luoghi militari o comunque destinati al servizio, indossi l’uniforme, si qualifichi in relazione ai compiti di servizio militare o si rivolga ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali; resta fermo tuttavia il principio per cui, anche qualora non ricorrano le suddette condizioni, i militari sono comunque tenuti all’osservanza delle disposizioni del codice e del regolamento che concernono i doveri attinenti al giuramento prestato, al grado, alla tutela del segreto e al dovuto riserbo sulle questioni militari, in conformità alle vigenti disposizioni.

Se dunque i militari debbono, in virtù del ruolo istituzionale ricoperto, limitare la propria libertà d’espressione al fine di non ledere gli interessi e il prestigio del Corpo di appartenenza, risulta meritevole di approfondimento la valutazione del confine tra l’ipotesi in cui il militare si qualifichi come tale, con conseguente obbligo di continenza, e il caso ove invece, non ricorrendo tale presupposto, risultino consentiti maggiori spazi di libera manifestazione del pensiero. A tal riguardo, la giurisprudenza ha distinto le due ipotesi. Nel primo caso, prospettandosi l’utilizzo di un profilo corrispondente all’indicazione dei propri dati anagrafici, dal quale emerga all’esterno l’appartenenza alle Forze Armate o di Polizia, anche se solo nella ristretta cerchia dei propri conoscenti, si impone un onere di maggiore riservatezza, attesa la facile percezione all’esterno del contesto in cui si verificano gli episodi narrati, nonché l’individuazione dei soggetti coinvolti, a nulla rilevando il numero di soggetti che risultano in concreto aver captato l’informazione (Cass. pen. Sez. I, Sent., 16-04-2014, n. 16712). Al contrario, deve considerarsi legittima la condotta di chi, utilizzando un profilo non facilmente riconoscibile, o con una identità mascherata e con un sistema di sicurezza che non consenta a tutti un accesso indiscriminato alle informazioni ivi contenute, pubblichi dati sensibili, non riferibili al proprio servizio. Tale tipo di esternazione deve dunque essere considerato quale manifestazione della libertà di espressione e del diritto alla vita privata e non consente l’irrogazione di sanzioni disciplinari (Cons. Stato Sez. III, Sent., 21/02/2014, n. 848).

Ferma restando questa distinzione, il progresso raggiunto dai blog e dai social network non può costituire un mezzo di elusione delle norme che informano la disciplina militare. In tal senso esso non può consentire l’espressione di opinioni politiche o discriminatorie, che, se manifestate dal militare pubblicamente potrebbero ledere l’immagine del Corpo di appartenenza e instillare nell’opinione pubblica l’idea che determinate condotte od opinioni appartengano all’intero apparato; analogamente, non può veicolare la creazione di fatto di associazioni sindacali, la cui legittimità nell’ambito delle Forze Armate risulta pacificamente esclusa in base all’art. 1475 del Codice dell’ordinamento militare, a norma del quale “I militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali”, previsione che è stata ritenuta costituzionalmente legittima (Corte Cost. n. 449/1999). D’altro canto, con riguardo alla possibilità di aderire ad organismi di rappresentanza militare, il cui riconoscimento è acclarato, bisogna osservare che autorizzati alla divulgazione di comunicazioni o dichiarazioni a nome dei suddetti organismi sono solo i loro componenti, con conseguente esclusione di tale facoltà nei confronti degli altri appartenenti alle Forze Armate, e solo con specifico riferimento alle materie di loro competenza. Anche in questo caso, dunque, risulta sanzionabile con la consegna di rigore la condotta di chi travalichi i limiti legislativamente imposti alla libertà di espressione in questa specifica materia.

Conclusivamente, l’insieme delle norme limitative della libertà di espressione dei militari, in quanto predisposto per la tutela di finalità superiori di carattere istituzionale e di pubblica sicurezza, costituisce un’ineludibile garanzia di riservatezza del sistema militare, la cui legittimità nel nostro panorama legislativo risulta pacifica. L’osservanza di tali norme rappresenta il principale fattore di coesione e di efficienza, e non può in alcun modo essere aggirata dai sistemi di comunicazione tramite internet. Il mondo virtuale, difatti, rappresenta una propagazione del mondo reale, e non costituisce una fattispecie avulsa rispetto ad esso. La fruizione dei servizi che la rete offre impone dunque ai militari una ancor maggiore responsabilizzazione, tenuto conto del fatto che le informazioni o opinioni espresse sono trasmesse in tempi ridotti ad un numero indeterminabile di soggetti, e proprio in tale sistema la condotta dei dipendenti delle Forze Armate deve risultare connotata da estrema riservatezza ed imparzialità. Tali principi non escludono in toto la libertà di espressione del pensiero per le categorie in questione, ma impongono un’attenta ponderazione delle informazioni o opinioni rese, al fine di evitare condotte lesive dell’efficienza o dell’immagine del Corpo di appartenenza.

Sembra utile precisare che il presente parere viene reso con specifico riferimento alle Forze di polizia ad ordinamento militare, in conformità all’impostazione che si deduce dalla relativa richiesta, ma che la soluzione proposta può essere estensibile alle Forze di polizia ad ordinamento civile, seppur con i dovuti, indispensabili adattamenti.

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