Militare della Marina tenta il suicidio dopo il trasferimento
Il trasferimento dopo oltre 15 anni, non più giovanissimo, in una sede distante tre ore dalla sua famiglia, deve essergli apparso pesantissimo. Riorganizzare la propria vita, in un ambiente simile ma diverso. non è facile.
È impossibile indagare l’animo umano. Può essere stato anche solo un pensiero più pesante, a scatenare l’istinto. L’unica certezza è che ieri un militare spezzino ha tentato di attuare un gesto estremo. Un suicidio evitato solo dalla prontezza dei colleghi, che sono riusciti a evitare la tragedia e a prestare soccorso.
La notizia del ricovero urgente ha destato apprensione e vicinanza da parte di tutti i colleghi. Quelli spezzini, con i quali ha sempre dimostrato preparazione e professionalità e quelli del ponente della Liguria, che già hanno imparato a stimarlo.
Alla base della decisione, fortunatamente sventata, ci sarebbe soprattutto il disorientamento provocato dalla procedura forzata del trasferimento. Tema delicato e sentito, tanto da essere stato discusso anche di recente, un paio di anni fa, attraverso una interrogazione al Senato.
Si era parlato proprio dell’alto spirito di abnegazione del personale, ma anche di queste norme che prevedono la permanenza massima presso le sedi di servizio. Vuoi 3, vuoi 5, vuoi 15 anni. Il dovere è dovere. Chi sceglie l’uniforme lo sa. Resta il fatto che le scelte possano risultare drastiche, per l’equilibrio personale e familiare.
La risposta dello Stato, in Senato, era stata che la ratio della regola è quella di non creare posizioni bloccate, ma di procedere all’avvicendamento. Certo è che diventa difficile conciliare i tempi della vita personale con quelli professionali. Come il fatto che spesso la famiglia di origine viva lontano, rispetto a quella che il militare si crea nel territorio di destinazione.