Avvocato Militare

Maresciallo punito per frasi lesive della dignità del servizio in una chat Whatsapp creata per ragioni d’ufficio. Il TAR annulla la sanzione

Il ricorrente, Maresciallo Ordinario dell’Arma dei Carabinieri, ha impugnato la sanzione disciplinare del rimprovero comminata per aver inserito in una chat WhatsApp, creata per ragioni d’ufficio, un messaggio contenente frasi ritenute lesive della dignità del servizio ed imprecise, in violazione degli artt. 713, 717 e 722 del D.P.R. 15/03/2010 n.90.

LA DIFESA DEL RICORRENTE

Secondo il ricorrente la contestazione dell’addebito disciplinare sarebbe generica perché non avrebbe indicato quali frasi avrebbero avuto contenuto offensivo e denigratorio dell’Arma dei Carabinieri, tra quelle inoltrate nella chat di un gruppo privato WhatsApp.

La genericità dei motivi avrebbe poi avuto riflessi negativi anche sull’istruttoria del procedimento e, ancor più, sulla congruità e logicità della motivazione del provvedimento finale. Infatti la motivazione del provvedimento sarebbe affidata solo a clausole di stile (messaggi ironici e dal tono sarcastico..), apodittiche, prive di significato pratico.

Poiché la diffusione dei messaggi su chat esterne non sarebbe stata effettuata per volontà del ricorrente, ma contro la sua volontà e a sua insaputa, egli non sarebbe responsabile del nocumento subito dall’amministrazione.

L’addebito di aver fornito istruzioni errate ai commilitoni, contenuta nel rigetto del ricorso gerarchico, sarebbe infondato in quanto la lettura dell’ultima delle tre frasi scritte dal ricorrente (“Vanno tenute chiuse e passate agli equipaggi del turno successivo. Qualora venissero aperte, dobbiamo informare il comandante della sezione radiomobile dell’avvenuta apertura della busta.”) dimostrerebbe che questi ha esaurientemente fornito tutte le istruzioni, impartite dal Comandante di Reparto, per l’utilizzo delle mascherine.

Inoltre la mancata comprensione delle istruzioni ricevute sarebbe stata agevolata dal mezzo utilizzato, cioè whatsapp, laddove invece la Polizia ha utilizzato il messo della Circolare.

Censurabile inoltre sarebbe l’attribuzione al ricorrente dell’intenzione di “ridicolizzare” l’Arma. Secondo il ricorrente la trasmissione del pensiero in una cerchia chiusa di persone, come nel nostro caso, non potrebbe provocare alcun discredito all’onore od alla reputazione dell’Arma.

Inoltre sarebbe stato esercitato il diritto di critica al solo scopo di manifestare il senso di disagio in cui operava il militare.

LA DECISIONE DEL TAR

Il ricorrente è stato destinatario di un ordine di trasmettere per le vie brevi istruzioni di servizio il cui testo non risulta predisposto per iscritto dalla scala gerarchica.

Essendo stato il contenuto del messaggio determinato direttamente dal ricorrente per una comunicazione breve e diretta, sconta una certa imprecisione del linguaggio che però non può ritenersi lesiva dell’onore dell’Arma o fonte di disorganizzazione del servizio.

Sotto il primo profilo occorre precisare che la frase “sì, avete letto bene: QUATTRO” non ha un contenuto univocamente ironico o di dileggio, potendo essere interpretata anche nel senso di voler sollecitare l’attenzione degli utilizzatori del materiale che il numero delle mascherine era limitato e quindi dovevano essere utilizzate con particolare attenzione. D’altro canto la prassi di accompagnare il numero con la parola che lo rappresenta è tipica del linguaggio burocratico.

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Per quanto riguarda, invece, la frase “Viva l’Italia, viva l’Arma dei Carabinieri!” il provvedimento di irrogazione della sanzione esclude che sia imputabile al ricorrente, mentre il decreto che respinge il ricorso gerarchico la imputa al medesimo, ma non motiva la scelta effettuata.

In merito occorre precisare che, non essendo agli atti, neppure del procedimento disciplinare, le copie fotostatiche degli screenshot della chat non è possibile accertare che l’ultima frase sia stata inserita dal ricorrente invece che da colui che l’ha trasmessa all’esterno.

Da ultimo l’amicizia tra il ricorrente ed il titolare della chat non è elemento sufficiente a far ritenere che il titolare di quest’ultima chat non ci abbia messo del suo, con la conseguenza che non sussistono elementi certi per imputare questa frase al ricorrente.

Per quanto riguarda il profilo dell’erroneità delle informazioni trasmesse, occorre precisare che la rappresentazione della presa in carico e del passaggio di consegna delle mascherine effettuata con la frase secondo cui i militari debbono “informare il comandante della sezione radiomobile dell’avvenuta apertura della busta” più che espressione di un errore di comunicazione imputabile al ricorrente appare una semplificazione del suddetto procedimento. Infatti la frase enfatizza la necessità la fornitura sia sempre aggiornata su impulso dei militi che finiscono il turno, che debbono rivolgersi ai superiori, a tutela della salute dei subentranti.

Il TAR ha dunque accolto il ricorso compensando le spese.

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