Maresciallo punito con 3 giorni di consegna. “Ha chiesto i soldi della missione tramite avvocato”
Nel mese di maggio 2010, il Comandante del Reparto Operativo del Comando Provinciale Carabinieri di Nuoro ha inflitto al ricorrente Mreasciallo Ordinario dell’Arma la sanzione disciplinare di giorni 3 di consegna poichè non rappresentava, nelle forme e secondo le procedure previste, la mancata corresponsione di trattamento economico di missione cui asseriva avere diritto ricorrendo direttamente, dopo notevole lasso di tempo, all’intervento di un legale causando nocumento al prestigio dell’Istituzione.
Avverso tale sanzione il maresciallo ha proposto ricorso gerarchico al Comandante Provinciale Carabinieri di Nuoro chiedendone l’annullamento, ma il ricorso è stato respinto.
La questione esaminata dal Consiglio di Stato con un recente parere in seguito al ricorso al Presidente della Repubblica da parte del Maresciallo, è stata così riassunta: il ricorrente avrebbe chiesto, tramite il suo avvocato, al competente ufficio dell’Arma, emolumenti a lui effettivamente spettanti, come è stato successivamente accertato anche d’ufficio. Il provvedimento sanzionatorio muove, pertanto, dall’assunto che il ricorrente, pur se a fronte di un proprio credito effettivamente insoddisfatto, non potesse rivolgersi ad un avvocato per chiedere, tramite quest’ultimo, alla stessa amministrazione, “dopo un notevole lasso di tempo”, di adempiere, ma dovesse prima esperire la via gerarchica.
Nondimeno, il ricorrente afferma di aver riferito della questione relativa al credito insoddisfatto al superiore gerarchico, nonché al superiore addetto alla Sezione amministrativa; nelle relative dichiarazioni in atti, acquisite dall’amministrazione successivamente (nel 2012), gli stessi precisano di aver invitato il ricorrente a formalizzare per iscritto la richiesta.
Al riguardo – sottolinea il Consiglio di Stato – preme evidenziare che si tratta di obbligazioni pecuniarie che, ex art. 1182, terzo comma, cod. civ., devono essere adempiute al domicilio del creditore, e per le quali pertanto non è astrattamente necessaria alcuna richiesta di pagamento da parte del creditore: risulta pertanto fuori sistema pretendere una richiesta scritta (per via gerarchica) per ottenere il soddisfacimento di un credito per cui il creditore non aveva neppure l’onere di richiedere l’adempimento.
Il ricorrente nel richiedere agli uffici amministrativi della stessa Arma il pagamento delle proprie spettanze, ha ritenuto di farsi assistere da un avvocato, al fine di meglio tutelare la sua pretesa, con ciò, ritiene il Consiglio di Stato, esercitando un proprio diritto.
Nel caso di specie, peraltro, la contestazione dell’addebito riguardava il fatto di non aver mai comunicato “in alcuna forma” ai suoi superiori, “né prodotte istanze”, per rappresentare la situazione relativa al mancato pagamento degli emolumenti, nonché l’intendimento di procedere tramite un legale.
Anche la contestazione che il ricorso all’intervento di un legale sia avvenuto “dopo notevole lasso di tempo”, contrariamente a quanto afferma l’Amministrazione, non può configurarsi – secondo il Consiglio di Stato -come una ipotesi di negligenza (per la suesposta ragione che la somma gli era dovuta a prescindere da qualsiasi richiesta), ma ragionevolmente dimostra, come affermato nel ricorso, che il ricorrente ha atteso un lasso di tempo più che congruente prima di assumere iniziative volte a far valere i propri diritti.
La indicata qualificazione temporale, pertanto, lungi dal poter essere addebitata al dipendente creditore, costituisce viceversa ex se il fondamento della legittimità e correttezza della scelta difensiva operata dal ricorrente.
La sanzione irrogata dall’Amministrazione, dunque, secondo il parere fornito dal Consiglio di stato nel ricorso presentato al Presidente della Repubblica non costituisce l’esito di un processo valutativo logico e coerente, sicché sussistono i rilevati profili di eccesso di potere che inficiano il provvedimento sanzionatorio finale.