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LIBIA: “SIRTE, SOLDATI ITALIANI AL NOSTRO FIANCO CONTRO L’IS”

(di Vincenzo Nigro per Repubblica) – I soldati di Misurata avanzano, la battaglia di Sirte, in Libia, potrebbe avvicinarsi al punto di svolta, ieri sera la operation room addirittura ha annunciato di aver riconquistato il centro Ouagadougou, che per due anni è stato il quartier generale dello Stato Islamico a Sirte.

Ma è una battaglia che letteralmente sta dissanguando i giovani di Misurata. I cecchini, ma soprattutto le mine, le bombe, le trappole maledette preparate dai terroristi dell’Is uccidono, feriscono e tagliano le gambe ai miliziani libici. E anche per questo – secondo i racconti dei comandanti libici – alle forze speciali italiane è stato dato ordine di sostenere sul campo i libici nello sminamento.

I racconti sembrano convincenti: i soldati italiani hanno portato a Misurata e Sirte gli equipaggiamenti per sminare, e stanno lavorando sul terreno con i libici. “Grazie, ci state aiutando! Sappiamo che sono arrivati i vostri soldati che ci addestrano a rimuovere le mine, con gli equipaggiamenti e le protezioni per gli uomini”. Un comandante conferma la notizia, ma aggiunge: “Le forze speciali non vogliono vedere i giornalisti. Ci siete voi insieme a inglesi e americani, preferiscono lavorare in silenzio”.

Che forze speciali italiane fossero presenti in Libia era una notizia mai confermata dal governo, ma vera. Gli uomini dell’Esercito sono stati schierati prima a Tripoli per creare un nucleo di sicurezza per gli agenti dell’Aise, i servizi segreti, durante le missioni più delicate. Poi le forze speciali sarebbero passate da Benina, la base aerea del generale Haftar nell’Est del paese. E infine sono arrivati a Misurata. Dove sembra perfino che i militari britannici avessero chiesto ai libici di poter rimanere soli a lavorare con le brigate di Misurata, assieme agli americani che da giorni guidano gli attacchi aerei della Us Air Force e pilotano da terra i piccoli droni tattici che a Sirte servono a scoprire i nascondigli dell’Is. Una fonte della Difesa a Roma conferma che in Libia sono in azione nostre forze speciali, ma non vuole commentare nessuna delle operazioni in cui sono impegnate.

Il ruolo degli italiani nella guerra alle mine è davvero benedetto dai libici. La battaglia di Sirte è iniziata in maggio, adesso è entrata nella fase finale, ma Misurata è stremata. Più di 300 morti, 3.000 i feriti. I soldati della città-martire della rivoluzione contro Gheddafi sentono di combattere da soli contro i terroristi dello Stato Islamico. E i raid americani sono ancora troppo pochi, solo 28 da inizio agosto. Ieri notte il comando ha annunciato la riconquista del centro congressi Ouagadougou, ma ci vorranno ancora giorni e molte mine sono pronte ad esplodere.

Ancora ieri si è combattuto ferocemente. Alle 19 nel piazzale del piccolo ospedale da campo in una delle grandi ville alla periferia della città, le ambulanze arrivano all’improvviso. Scaricano feriti di ogni tipo, giovani ragazzi colpiti a una gamba e alla spalla, anziani combattenti con un braccio già ingessato e le ferite che ancora trasudano sangue. Ma poi entrano i morti, gli infermieri li imbustano immediatamente nei grandi sacchi neri e li spostano sotto un grande tendone di plastica raffreddato con gli split dell’aria condizionata.

Ancora altri feriti, gravi. Uno è un comandante di 60 anni, ha aperto lo sportello della sua Toyota, ha messo un piede a terra ed è saltato sulla mina dell’Is. Lo portano dentro di corsa in sala operatoria sulla barella insanguinata. Nel piazzale due inservienti africani lavorano senza sosta: appena gli infermieri spostano il ferito, loro prendono la barella, cospargono il materasso con un liquido disinfettante e poi lavano il lettino con il tubo dell’acqua che il proprietario della villa usava per annaffiare le piante. Sangue, acqua e sapone si impastano con la terra rossa che gli scarponi dei soldati portano in giro dappertutto. Una bolgia di infermieri e volontari si sposta caotica, solo i chirurghi mantengono la freddezza, separano i vivi probabili dai morti inevitabili.

“Siamo soli e siamo schiacciati dal peso di questa battaglia”. Taraq Ismail è un chirurgo libico che opera in Gran Bretagna, lavora all’ospedale di Coventry. “Prendo permessi appena posso, adesso sono qui da un mese per aiutare i feriti. Ci manca tutto, le pinze per fermare il sangue, i mezzi di contrasto per la radiologia, i reagenti per le analisi del sangue. Ci mancano gli uomini, gli infermieri, i medici, ci mancano le ambulanze, abbiamo solo il nostro orgoglio, ci manca il vostro sostegno vero, concreto. Paghiamo tutto noi, pagano i commercianti di Misurata, anche le medicine che stanno scaricando adesso”.

Taraq conferma che il nemico mortale sono le mine. Racconta le fasi iniziali di questa battaglia, vista da suo osservatorio di chirurgo maxillofacciale e del collo: “A maggio iniziavano ad arrivare i feriti e le vittime dei grandi attentati con autobomba, giorni e giorni senza un ferito, poi all’improvviso decine di combattenti e di semplici viaggiatori colpiti sulla strada da Sirte verso Misurata. Poi è iniziata la battaglia: i nostri soldati avanzavano, ma quelli sparavano colpi di mortaio e spingevano i nostri verso campi minati che avevano appena piantato. Adesso i cecchini e le bombe sono il grande nemico. I terroristi sono micidiali nel costruire le bombe, le nascondono dappertutto: nelle case le stiamo trovando sotto i materassi, dietro le porte, dentro gli estintori”.

Dal piccolo ospedale parte un elicottero, l’unico, con i feriti più gravi. Arriva un’altra ambulanza: l’autista è l’ingegnere petrolifero Mohammad Alì Ihllishi. “Sono qui come volontario, ho una famiglia, sei figli, da un mese faccio la mia battaglia. Vengo dall’area di Al Dollar, sembrava che tutto fosse stato ripulito, e invece guarda questa foto, stamattina hanno tirato su un’altra bandiera nera del Daesh. Ero finito con l’ambulanza sotto il tiro di un cecchino, è arrivato un bulldozer per proteggermi, ma quello ha iniziato a sparare alle ruote del mezzo e poi al sistema idraulico, un incubo”. Gli autisti delle ambulanze si perdono nel dedalo delle strade di Sirte devastate da mesi di guerra, e ogni giorno gli uomini dell’Is piazzano nuove mine. Anche per questo, se sono vere le voci di Sirte, il lavoro degli italiani sono molto più che un aiuto umanitario.

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