Senza categoria

LIBIA, IL PUNTO DELLA SITUAZIONE: ECCO COSA STA ACCADENDO

La
Libia sembra aver parzialmente arrestato la sua caduta libera verso l’anarchia
e il collasso dello stato, grazie a un faticoso processo di riconciliazione
politica tra il Governo riconosciuto internazionalmente, guidato dal Primo
Ministro Abdullah Thinni, espresso dalla Camera dei Rappresentanti eletta
legittimamente il 25 giugno del 2014, e l’ “anti-governo” del Primo
Ministro al-Ghuweili, recentemente succeduto a quello di Omar al-Hassi, che si
era costituito in modo autoreferenziale a Tripoli, dopo che nell’estate del
2014 i miliziani dell’area politico -militare 
denominata successivamente “Alba della Libia” hanno sottratto
alle milizie di Zintan il controllo dell’aeroporto di Tripoli (che è stato
completamente distrutto dai “conquistatori”).

La
missione delle Nazioni Unite in Libia, guidata dal diplomatico spagnolo
Bernardino Leòn, ha quantomeno avuto il merito di far sedere le parti in
conflitto al tavolo dei negoziati, prima a Ghadames, poi a Ginevra, in seguito
in Marocco e Algeria, dove sotto l’egida dell’ONU si è favorita la ripresa del
dialogo tra le parti, con gli obiettivi primari prima di fermare i
combattimenti in corso e attualmente di riuscire a formare un Governo di unità
nazionale, che possa guidare il Paese verso una condizione di relativa
normalità.

La
guerra civile, che ha infuriato da maggio del 2014, preceduta da mesi segnati
dai continui omicidi mirati condotti dalla milizie fondamentaliste contro
ufficiali e graduati dell’esercito libico, giornalisti e attivisti per i
diritti umani, è adesso limitata alle seguenti aree: Bengasi, dove da un anno
l’Esercito nazionale libico – guidato dal generale Haftar e legato
politicamente al Governo di Tobruq – prova a strappare il controllo della città
alle milizie fondamentaliste come “Ansar al-Shari’ah” (ossia
“Gli ausiliari della Legge sacra”); Derna e Sirte, dove gruppi
fondamentalisti libici, affiancati da manipoli di foreign fighters di
origini prevalentemente tunisina, sono diventati egemonici e hanno giurato
fedeltà all’ISIS, ma si sono poi trovati nella paradossale situazione di dover
combattere contro altri gruppi estremisti legati ad al-Qa’idah, oltre a dover
lottare contro le milizie di Alba della Libia e l’Esercito nazionale libico;
l’area meridionale del Paese, afflitta da scontri tribali ed etnici, definita
recentemente dal Presidente del Mali Keita come un “vespaio”,
soprattutto a causa della presenza di gruppi terroristici che hanno trovato
facilmente ricetto in quell’area e di un fiorente mercato nero di armi
destinate a destabilizzare il quadro politico dei Paesi del Sahel.

Segnaliamo,
invece, che un’altra zona di conflitto importante come quella del Jebel
Nafusah, dove le milizie di Zintan – la città in cui è detenuto (la sentenza
del suo processo è attesa per il 28 luglio 2015)  il delfino del deposto dittatore Mu’ammar
Gheddafi, Sayf al-Islam -, ormai pienamente integrate nei ranghi dell’Esercito
libico, hanno ingaggiato per diversi mesi una strenua lotta per il controllo
della regione contro le milizie delle città di Misratah e Gharyan, capisaldi
del fronte di “Alba della Libia”, è adesso oggetto di un processo di
pacificazione caratterizzato, oltre che dal silenzio delle armi, dallo scambio
di prigionieri tra le varie città in lotta e da processi di riconciliazione
tradizionali guidati dagli sceicchi delle tribù dell’area.
Il
conflitto interno ha comunque messo in ginocchio la Libia dal punto di vista
economico, sociale e culturale: la capacità di produrre ed esportare petrolio è
scesa a circa 500.000 barili al giorno (ancora nel 2013 la produzione si
attestava a più di 1.400.000 barili al giorno); i servizi pubblici sono ridotti
al lumicino o non sono più erogati, in particolare in ambito sanitario, con gli
ospedali incapaci di gestire efficacemente il gran numero di feriti causati
dalle battaglie, attentati e violenze di strada; gli estremisti islamici, in
particolare a Tripoli e Derna – dove è stato proclamato nella primavera del
2014 un “emirato islamico” – hanno compiuto azioni aliene alla storia
e alla cultura libica, come il rapimento e l’esecuzione di ostaggi di religione
cristiana, la separazione forzata tra uomini e donne nelle scuole, attuata a
Derna, oppure la distruzione di statue e di antiche tombe di santi musulmani,
perpetrata a Tripoli e in altre località.
La
comunità internazionale, pertanto, si trova al cospetto del catastrofico
fallimento della scelta di non aver sostenuto adeguatamente la Libia nel suo
processo di transizione verso uno stato di diritto democratico, di aver
ignorato l’enorme numero di armi uscite dagli arsenali accumulati da Gheddafi
durante il suo regime e rimaste nelle mani dei “rivoluzionari”, di
aver tollerato o addirittura di aver fatto affari con personaggi che hanno avuto
funzioni chiave nei governi di transizione libici, che hanno sottratto enormi
somme di denaro al popolo libico per poi fuggire in Europa, grazie alla doppia
cittadinanza.
Le
suddette ruberie, unite all’indebolimento delle strutture e infrastrutture produttive
e commerciali del Paese, hanno spinto molti Libici a essere coinvolti a vario
titolo nel traffico di esseri umani verso l’Europa mediterranea, fenomeno che
nessuno dei due governi attualmente al potere in Libia intende contrastare
adeguatamente, alla luce della lucrosità di tale traffico e dell’assenza di
mezzi e risorse adeguate a colpire i responsabili di questo vergognoso
commercio.
Natale
Consoli



Valerio
Buemi

Lascia un commento

error: ll Contenuto è protetto