Polizia

L’ex agente sotto copertura: “Ho fatto anche il boss, da donna mi accettavano”

Cinzia Nicolini cosa significa essere un’infiltrata? Come si agisce?

“Sono stata un’agente cosiddetto undercover all’inizio della mia carriera, per 4 anni, e ho svolto diverse missioni in Italia e all’estero soprattutto in azioni di contrasto allo spaccio di stupefacenti. Il mio ruolo era quello di insinuarmi con una falsa identità nel tessuto criminale allo scopo di disvelare un reato”.

Lei ha affermato di aver sempre dovuto fare i conti con la paura, lo ha ammesso senza quindi voler passare per una super donna che non guarda in faccia a nessuno? Un’ammissione di debolezza?

“Assolutamente no, anzi. La paura è una grande alleata ed essere una donna o un uomo coraggioso per me non significa non provare paura bensì riuscire a controllarla. Io ne ho fatto una compagna di vita, un’alleata che in tante situazioni mi ha permesso di evitare i pericoli e di non fare scelte avventate”.

Si è mai trovata in situazioni che non aveva previsto? Come le ha fronteggiate?

“Sì, durante le operazioni quasi sempre succedeva qualcosa che non rientrava nel copione che avevamo previsto e allora lì bisognava giocare di fantasia. Senza farsi prendere dal panico, sapendo che non ero sola perché potevo contare sulla mia squadra, la mia seconda famiglia.

Come ha iniziato la carriera di agente undercover?

“Dopo un corso con agenti americani della Dea Drug Enforcement Administration. Ero molto motivata e lo passai ma dopo 4 anni le cose sono cambiate, alcuni colleghi se ne sono andati e ho voluto mettere a frutto le mie due lauree. Così ho fatto il concorso da funzionario e ho iniziato la carriera in Polizia che mi ha dato grandi soddisfazioni”.

Il fatto di essere donna, e una delle prime in Italia a svolgere il ruolo di infiltrata, ha fatto la differenza?

“Non direi, non è una questione di genere. A certi livelli c’è una sorta di decalogo in cui si fanno poche domande, nessuno è più accondiscendente con te perché sei donna. Conta solo il carattere. In alcune operazioni a me toccava il ruolo del boss, mai nessun problema ad essere accettata dai criminali anche di alto rango nonostante fossi una donna. A quei livelli non conta il sesso, conta se sei un capo criminale. E se pensano che tu lo sia, ti rispettano”.

L’operazione di cui va fiera?

“Ce ne sono tante ma se devo sceglierne una direi quella che dall’Abruzzo mi ha portato fino in Ungheria per arrestare un pezzo grosso della malavita coinvolto in un traffico internazionale di droga. Ma ricordo anche l’arresto di uno spacciatore quando ero sotto copertura, che dopo aver scontato la sua pena ha scelto di cambiare vita e collaborare con la giustizia permettendoci di arrestare molti criminali. Una bella storia di rinascita”.

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