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LEGITTIMA DIFESA DELLE DIVISE:CI PROTEGGONO PER STIPENDI DA FAME. SE SI DIFENDONO, RISCHIANO GALERA E DIVISA

(di UGO RUFFOLO) – Strano quel
mondo – ironizzava un prelato – dove solo le donne vogliono fare il sacerdote,
solo chi è sterile vuole figli, solo gli omosessuali anelano al matrimonio. Non
meno strano parrebbe un mondo che volesse criminalizzare i poliziotti e
proteggere i criminali. Avrebbe questo effetto il codificare il reato di
tortura?

CERTO, per l’articolo 3 della Carta dei diritti dell’uomo, «nessuno può essere
sottoposto a tortura né a pene o trattamenti umani degradanti». E la Corte
Europea ha così condannato lo Stato italiano per non avere adeguatamente
sanzionato le efferate violenze poliziesche alla scuola Diaz, durante il G8 a
Genova, accordando un risarcimento di 45mila euro ad Arnaldo Cestaro, che si
lamentava «vittima di violenze e sevizie qualificabili come torture». La Cedu
stigmatizza la «reazione delle autorità» come «inadeguata» sia a «sanzionare
gli atti di tortura in questione» e «i trattamenti crudeli, inumani o
degradanti», sia ad «assicurare l’effetto dissuasivo», giudicando «non
proporzionate le sanzioni inflitte». Per la Cedu lo Stato aveva violato il
dovere «di adottare un quadro giuridico adeguato». È questo il punto. Che non
coincide necessariamente con formalizzare un reato di «tortura», così come di
trattamenti crudeli o inumani o degradanti. Perché «tortura», come questi
altri, è termine atecnico che designa una (tremenda) situazione di fatto da
reprimere penalmente con previsioni di reato adeguate, e poco importa se
terminologicamente coincidenti.

PER LA MACELLERIA messicana alla scuola Diaz le attuali norme in materia di
lesioni, violenze, abusi, poi aggravati da sevizie e crudeltà, bastavano a
buttar via la chiave. Non il nomen iuris dei reati contestati, ma il gioco
delle prescrizioni e dei giudizi sulle prove (dunque, l’eccesso di garantismo e
di durata dei processi) ha assicurato pene blande o nulle (tanto ai poliziotti
quanto ai manifestanti violenti). Anche codificando la tortura, nulla sarebbe
cambiato, essendo ogni singolo atto di tortura già autonomo reato. Da
perseguire realmente, allora, non aggravando pene e prescrizioni, ma rendendo
certa la pena e celeri i processi. Se ogni atto di tortura è già reato,
evitiamo inutili previsioni nuove volte anche solo a criminalizzare la polizia.
Non spaventerebbero i pochi poliziotti «che menano» e umilierebbero la quasi
totalità degli altri, inducendoli a controproducenti comportamenti difensivi:
dannosi, per la nostra sicurezza, quanto la medicina difensiva per la nostra
salute. Né si può criminalizzare una azione di polizia anche minimamente
brusca, ma poi assicurare sostanziale immunità a chi deride, umilia, manda
all’ospedale gli uomini in divisa. Quelli «che menano», fra essi, sono pochi;
tanti quelli impunemente malmenati, sputacchiati o feriti, allo stadio come
sulla strada.


CI PROTEGGONO, massacrandosi, per stipendi da fame. Se si difendono, rischiano
galera e divisa
. Non induciamoli a voltarsi dall’altra parte. Perché un
poliziotto minimamente vivace perde il posto. Chi lo attacca rischia poco e ha
poco da rischiare. La tortura, certo, è anche psicologica. Che non lo sia, per
le forze dell’ordine, vederla invocata in modo così distorto? Come per l’uomo
che morde il cane, solo il tifoso o criminale malmenato fanno notizia; il
poliziotto massacrato è invece normale amministrazione. Vogliamo svegliarci?

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