Polizia

La famiglia del poliziotto Nicola Barbato: «Lo ferirono in un attentato, noi figli in divisa per lui»

(di Fabio Postiglione per il Corriere.it) – Giovanna prova a sorridere, parla tantissimo. È la sua terapia contro il dolore, appena smette di farlo si commuove. Ha la tempra del papà e la stessa umanità. Luigi è un passo indietro. Silenzioso, concentrato e del papà ha il viso innocente e la determinazione. Entrambi poliziotti «per amore e dovere», lavorano alla questura di Caserta. Sono i figli di Nicola Barbato, il vice sovrintendente della polizia, medaglia d’oro al valor civile, morto l’8 marzo per una infezione polmonare. «Un virus latente che si era annidato nel sangue durante gli anni di degenze e terapie». Perché Nicola il 24 settembre del 2015 fu quasi ucciso da un estorsore della camorra di Napoli (arrestato tre giorni dopo e condannato a 14 anni).

Sotto copertura

«Era sotto copertura, si era finto il commesso di un negozio per arrestare in flagrante l’uomo che voleva imporre il pizzo. Quando si accorse che era un poliziotto gli sparò un colpo alla nuca». Nicola, in servizio alla Squadra Mobile di Napoli, era praticamente morto. Il proiettile gli aveva perforato il cranio. «Ogni giorno era interminabile perché ci dicevano che sarebbe stato l’ultimo in vita di nostro papà — racconta Giovanna —. Quella sera lo vidi passare su una barella e chiesi a Dio di riportarmelo su questa terra, a qualunque costo». Sono stati anni di calvario, speranze, sogni infranti, terapie dure fino al giorno delle dimissioni dal centro di riabilitazione, in sedia a rotelle, con il corpo paralizzato dall’addome in giù. «Però lo spirito era sempre lo stesso, non si è mai fermato, poliziotto fino all’ultimo giorno di vita — ricorda Luigi —. Molti colleghi lo contattavano per chiedere consigli su operazioni delicate e arresti ed era lui stesso, qualche volta, a segnalare strani movimenti in quartieri a rischio».

La divisa, il giuramento

Un esempio. Tanto che i due figli hanno deciso di rendere onore al suo sacrificio scegliendo di indossare la divisa che lui tanto amava. «Glielo dovevamo per quello che è stato per noi e per la polizia». Giovanna studiava Lettere ed era una ballerina, Luigi, da poco diplomato, era già risultato idoneo per l’Esercito. Nel 2018 hanno partecipato al concorso con un percorso agevolato per i familiari delle vittime del dovere e «il 9 novembre del 2018 abbiamo giurato», ricorda Luigi. Il destino aveva, anche questa volta, deciso per loro: «Era il giorno del compleanno di papà, una gioia indescrivibile per lui che in quel momento, nonostante quello che gli era capitato, si sentiva l’uomo più felice del mondo. Festeggiare con i due figli in divisa era più di quanto avesse mai sognato».

Le paure, i consigli

La divisa e le paure nascoste dal giorno dell’attentato. «Quando gli abbiamo detto che volevamo diventare poliziotti si commosse. Ci mise in guardia sui rischi — ricorda Giovanna —. Ma ci esortò a non mollare mai e non tirarci mai indietro. “Non date per scontato nulla, non pensate che vi è tutto dovuto perché siete miei figli, vi dovete fare da soli”». E il messaggio, come un ordine, è arrivato forte e chiaro. Giovanna, 33 anni, e Luigi, 28, sono agenti tecnici alla questura di Caserta, alle dipendenze dell’Ufficio di Gabinetto. Poi Luigi ha vinto il concorso come viceispettore: «Voglio fare l’investigatore, come lui». Ma chi era Nicola Barbato? «Un padre adorabile, un uomo integerrimo, un marito innamorato e un poliziotto vero, tanto che la sua passione l’ha addirittura passata a mia madre, un’agente mancata», sorride Giovanna. «Non portava mai il lavoro a casa, qualche volta era preoccupato, ma in casa cercava sempre di restare sereno», racconta Luigi.

La squadra, gli affetti

Dopo l’attentato, travolti dall’affetto degli agenti che lavoravano con lui, hanno scoperto il lavoro incredibile che il padre aveva fatto in polizia: «Unico agente in vita ad aver ricevuto la medaglia d’oro per meriti. Era ancora in ospedale per le terapie quando Mattarella decise di omaggiarlo», conferma Giovanna commossa. E ora manca tutto. «Dividere le responsabilità con lui ci alleggeriva». Viveva in simbiosi con il nipotino, figlio di Giovanna: «Un legame perfetto». E il piccolo, di quasi due anni, bacia con amore la foto del nonno.

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