Avvocato Militare

Il TAR annulla la valutazione negativa di un Carabiniere: quando il clima teso in caserma può inficiare il giudizio dei superiori

(di Avv. Umberto Lanzo)

La vicenda processuale

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, con una recente sentenza, ha accolto il ricorso di un Carabiniere contro una valutazione particolarmente negativa ricevuta dal proprio Comandante di Stazione. La decisione mette in luce come un clima di forte tensione all’interno di una caserma possa potenzialmente influenzare la serenità del giudizio valutativo dei superiori gerarchici.

Il caso riguarda una scheda valutativa del novembre 2022, con cui il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri aveva giudicato “inferiore alla media” il servizio prestato dal ricorrente nel periodo compreso tra dicembre 2021 e settembre 2022. Una valutazione che ha rappresentato una brusca interruzione rispetto ai giudizi positivi ricevuti nei periodi precedenti e successivi.

Le motivazioni del ricorso

Il militare ha impugnato il provvedimento sostenendo che la valutazione negativa fosse frutto non di un’obiettiva analisi del suo operato, bensì dell’astio nutrito nei suoi confronti dal Comandante di Stazione. A supporto di tale tesi, il ricorrente ha prodotto copiosa documentazione, evidenziando l’enorme discrepanza tra i giudizi ricevuti nel periodo precedente e successivo a quello oggetto della contestazione.

Particolarmente significativo è risultato il confronto tra la valutazione impugnata e quella immediatamente precedente, relativa al periodo 2020-2021, dove lo stesso Comandante aveva espresso un giudizio decisamente positivo, descrivendo il militare come “serio, disciplinato” e dotato di “positivi requisiti complessivi”. Analogamente, nel periodo successivo al trasferimento presso lo Stato Maggiore della Difesa, il ricorrente ha ricevuto nuovamente valutazioni positive.

Il clima teso in caserma

L’elemento centrale della vicenda è emerso attraverso le testimonianze scritte di numerosi militari, che hanno dipinto un quadro preoccupante di tensioni:

  • Annotazioni pretestuose sugli ordini di servizio per infrazioni minime come “ritardo di 2 minuti nell’assunzione del servizio” o “uniforme non perfettamente stirata”
  • Ripetuti dinieghi di permessi per visite mediche, poi concessi solo dopo l’intervento del medico della caserma
  • Esclusione sistematica del militare dalle attività investigative più rilevanti, nonostante la sua precedente esperienza nel settore
  • Modifiche improvvise dei turni di servizio senza apparente necessità operativa

Particolarmente emblematici sono risultati due episodi: il caso della licenza matrimoniale, inizialmente negata nonostante fosse stata programmata con sei mesi di anticipo e le partecipazioni già inviate, e un episodio in cui il militare venne rimproverato per “eccessivo zelo” nell’aver effettuato un intervento anti-spaccio fuori dal proprio turno di servizio, intervento che aveva portato all’arresto di due spacciatori.

Come evidenziato nella sentenza, il TAR ha rilevato “una palese incongruenza tra la gravità delle condotte contestate e l’assenza di qualsivoglia procedimento disciplinare”, sottolineando come “appaia quantomeno singolare che comportamenti definiti come ‘prossimi all’insubordinazione’ non abbiano generato alcuna sanzione formale, in un contesto dove persino lievi irregolarità formali venivano puntualmente annotate”.

Particolarmente incisivo il passaggio in cui il Collegio osserva che “la documentazione prodotta evidenzia una frattura così netta e improvvisa nelle valutazioni da risultare difficilmente giustificabile se non alla luce di elementi esterni alla mera prestazione professionale del ricorrente”.

La decisione del TAR

Il Collegio, pur ribadendo i consolidati principi giurisprudenziali sulla natura ampiamente discrezionale delle valutazioni militari, ha rilevato nella fattispecie concrete evidenze di eccesso di potere per infondatezza ed erroneità dei motivi, difetto di valutazione dei presupposti e travisamento dei fatti.

Determinante è stata la constatazione che comportamenti definiti nella scheda valutativa come particolarmente gravi – quali “mancanza di affidabilità” e “carenze nella disciplina” – non abbiano mai portato all’irrogazione di sanzioni disciplinari. Il Tribunale ha ritenuto singolare che condotte descritte come rasentanti l’insubordinazione non abbiano generato alcun provvedimento disciplinare, specialmente considerando l’attenzione particolare del Comandante per gli aspetti formali, documentata dalle numerose annotazioni sugli ordini di servizio.

Le conseguenze della sentenza

La decisione del TAR Lazio rappresenta un importante precedente nel delicato equilibrio tra la discrezionalità delle valutazioni militari e la necessità di un loro ancoraggio a elementi oggettivi e verificabili. La sentenza sottolinea come, pur nella piena autonomia di ogni giudizio valutativo, un drastico peggioramento delle valutazioni necessiti di adeguato supporto motivazionale, specialmente quando coinvolge caratteristiche personali e professionali che difficilmente possono subire repentini mutamenti.

L’Amministrazione è stata condannata al pagamento delle spese processuali, liquidate in 4.000 euro oltre accessori di legge. La pronuncia impone ora una nuova valutazione del periodo di servizio in questione, che dovrà essere effettuata tenendo conto dei principi espressi nella sentenza.

Quando il sistema di controllo interno fallisce

Ciò che colpisce maggiormente in questa vicenda è il totale fallimento dei meccanismi di controllo interni all’Amministrazione. È sconcertante che una valutazione così palesemente viziata sia riuscita a superare indenne il vaglio del revisore, figura appositamente preposta a garantire l’equità e l’obiettività dei giudizi valutativi.

Un dettaglio, quest’ultimo, che getta un’ombra inquietante sull’intero sistema valutativo: come può un militare avere fiducia in un meccanismo che, proprio quando dovrebbe proteggere da possibili abusi, sembra invece limitarsi a una superficiale “presa d’atto”? Il fatto che sia stato necessario ricorrere alla giustizia amministrativa per ottenere il riconoscimento di diritti così evidenti rappresenta un campanello d’allarme che l’Arma non può permettersi di ignorare.

Viene da chiedersi quanti altri casi simili possano essersi verificati senza che i militari interessati abbiano avuto il coraggio, le risorse o la determinazione necessari per affrontare un percorso giudiziario tanto complesso quanto costoso. Una riflessione che dovrebbe portare a un serio ripensamento delle procedure di revisione delle schede valutative, troppo spesso ridotte a un mero adempimento burocratico invece che rappresentare quel fondamentale presidio di garanzia per cui sono state concepite.

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