IL PARÀ MENOMATO DAL SUPERIORE ED ESCLUSO DAL CONCORSO PERCHÉ “NON IDONEO”. L’APPELLO DELLA MADRE
“Mamma sono stato colpito da una pallottola da un superiore” è questo l’inquietante messaggio che un giovane militare, paracadutista del 186° Reggimento della Brigata Paracadutisti “Folgore” ha inviato alla madre pochi minuti dopo essere stato colpito dal proiettile partito dalla pistola di un suo superiore.
La mattina del 22 novembre 2015 il volontario in ferma prefissata di un anno (VFP1),Giuliano Giambruno, venne ferito dal colpo esploso dall’arma in dotazione ad un sergentedurante lo svolgimento di un servizio di vigilanza presso una istallazione militare dell’Esercito: il deposito munizioni di Rapolano Terme a Poggio santa cecilia (SI). I soccorsi dei commilitoni furono immediati. Il paracadutista venne ricoverato presso l’ospedale “S. Maria alle Scotte” di Siena dove fu sottoposto ad un delicato intervento chirurgico che si concluse positivamente solo dopo alcune ore.
Dopo la dimissione dall’ospedale Giuliano venne mandato a casa per un periodo di convalescenza. Oggi Giuliano non ha ancora riacquistato l’idoneità fisica per riprendere il servizio e tra qualche mese potrebbe essere definitivamente congedato. Il suo sogno di servire la sua Patria si ferma davanti alle conseguenze dell’azione di quel sergente che proprio per la sua elevata specializzazione avrebbe dovuto conoscere le regole per l’utilizzo e la conservazione dell’armamento individuale e valutare più attentamente il rischio nel maneggiare l’arma in presenza di altri militari e in un locale chiuso.
Ora Francesca chiede aiuto a Tiscali e a Radio Radicale per raccontare la storia che fino ad oggi è rimasta confinata dentro ai muri di quella caserma ma che ha cambiato per sempre la vita di suo figlio Giuliano che probabilmente nelle prossime settimane dovà sottoporsi ad altri interventi chirurgici.
«… dopo avere svolto il turno di prontezza, si trovava all’interno del luogo adibito a mensa e un superiore, comandante della guardia, si trovava di fronte alla porta d’ingresso della mensa con la sua pistola Beretta 92 FS, impugnandola con la mano destra rivolgendola verso il pavimento. Mio figlio, si stranizzò del suo comportamento e ritenne inusuale che il sergente impugnasse l’arma in quel posto e in quel momento. In pochi secondi disteso il braccio verso il pavimento, il sergente fece partire un colpo in direzione di mio figlio,ferendolo all’addome sinistro. Da quel momento, accertato l’accaduto, e che il dolore e la perdita di sangue non erano indifferenti, iniziò un calvario che ha del paradosso. …» Inizia così la lettera di Francesca che Tiscali ha deciso di pubblicare integralmente, insieme ad una sintesi dell’intervista rilasciata ai microfoni della Rubrica “Cittadini in divisa” di Radio Radicale, che verrà trasmessa integralmente lunedì 24 ottobre alle ore 23,30, e al messaggio che che la mamma del parà ferito ha voluto indirizzare direttamente alla Ministra della difesa, Roberta Pinotti.
Riprendendo il contenuto della lettera Francesca racconta a radio Radicale di quella drammatica domenica mattina, della sua preoccupazione per quel messaggio inviatole dal figlio e gli inutili tentativi per contattarlo. Poi quelle lunghe ore di attesa che l’hanno portata a credere che Giuliano fosse morto.
«Era domenica mattina … ricevevo un semplice messaggio da parte di mio figlio che diceva “mamma sono stato colpito da una pallottola da un superiore”. Io all’inizio credevo di non leggere bene e credevo il contrario cioè che lui aveva colpito qualcuno. Mandavo dei messaggi ma non ricevevo risposta.». Il racconto prosegue. «Passarono delle ore, ogni tanto mi mandava qualche messaggio ma non capivo cosa stava accadendo – racconta Francesca – non riuscivo più a mettermi in contatto con lui». «Solo verso le dodici e trenta ho saputo che lo stavano portando in ospedale ma nessuno mi dava delle risposte e non sapevo con chi parlare non avevo alcun punto di riferimento». A quel punto per Francesca diventa difficile riuscire a contattare qualcuno che gli dicesse cosa stava realmente accadendo.
Le ore passando. «Alle 15,00 sono stata contattata dal suo capitano. Così – prosegue – si è identificato per telefono dicendomi che Giuliano si trovava in sala operatoria, che stava per essere operato e che non era successo niente di grave ma che in un oretta avrei avuto delle notizie. In realtà non è stato così perché non avevo più notizie da nessuno per cui non sapevo le reali condizioni di mio figlio né, tanto meno, cosa stava realmente accadendo. Devo dire sinceramente che ho pensato che fosse morto e che non sapessero come dirmelo.». Francesca continua «ha visto passare questo superiore (n.d.r il sergente) con quest’arma in mano, questa pistola – dice riferendosi al figlio Giuliano – senza nessun motivo valido che giustificasse la presenza dell’arma» e quando il sergente «decide di scaricare l’arma non rendendosi conto di avere in canna un colpo», parte il colpo che rimbalza per terra e «Giuliano viene colpito all’addome e il sergente che ha avuto paura di quello che stava succedendo è fuggito».
Giuliano viene immediatamente soccorso dai suoi commilitoni ma con il passare del tempo le sue condizioni peggiorano e chiede di essere portato in ospedale. Ad un certo punto il sergente ritorna, decide di farsi prestare una macchina da un suo collega e «lo porta in un paese vicino da un medico amico». Lascia li Giuliano e va via. «Giuliano è stato lasciato li come un pacco» dice amaramente la madre. Quando il medico si rende conto della reale situazione porta immediatamente il ragazzo ferito in ospedale.
Nella lettera indirizzata a Tiscali Francesca spiega che «… a quasi un anno dall’accaduto mi ritrovo a brancolare nel buio con un sergente che continua a svolgere serenamente la sua attività, noi ignari del decorso della giustizia militare e con un figlio ancora in convalescenza perché impossibilitato a riprendere a pieno la sua attività fisica. Questo ha fatto si che la sua mancata idoneità gli facesse perdere l’ultima prova di un concorso già superato che lo avrebbe portato sicuramente avanti nella carriera che si apprestava a perseguire. …»
Giuliano si era arruolato a 18 anni come volontario in ferma prefissata di un anno e al momento dell’incidente stava spettando di essere chiamato per effettuare le prove di idoneità fisica per il prolungamento de ferma a 4 anni, avendo già superato tutte le altre prove previste dal bando di concorso. Tra qualche mese, al termine dell’estensione della ferma concessagli dall’Amministrazione militare, Giuliano dovrà lasciare definitivamente il 186° Reggimento ha spiegato la madre che, alla fine del suo racconto, ci chiede di poter mandare un messaggio direttamente alla ministra Pinotti. Acconsentiamo, possiamo fare ben poco ma lo facciamo volentieri. «Cara Ministra – dice Francesca – io sono una mamma come lei e come potrà ben capire oggi il mio appello, non è accorato ma deve essere un monito per il futuro» il suo discorso prosegue per qualche minuto e poi conclude: «Questi ragazzi sono la parte pulita dell’Italia perché non sostenerli quando è il momento di farlo?.».
Lo stato maggiore dell’esercito, interpellato sulla vicenda, dal canto suo ha risposto che «la situazione relativa al Volontario in ferma prefissata, Giuliano Giambruno, è stata e continua ancora ad essere seguita con particolare attenzione, come in tutti i casi similari, dall’Esercito, e dal 186° reggimento paracadutisti nel caso particolare, alla luce di quello che è il disposto normativo di riferimento. In particolare, al Soldato Giambruno, è già stata riconosciuta la causa di servizio e l’estensione della ferma fino al termine della stessa (marzo 2017) e data massima disponibilità, per quanto nei limiti delle proprie possibilità, da parte del reggimento. Tuttavia, resta inteso che qualsiasi candidato, anche in caso di congedo per termine rafferma, possa comunque continuare a partecipare al concorso fino al superamento dei limiti di età stabiliti.».
Il racconto di Francesca, il comportamento del sergente e le conseguenze di quel drammatico incidente hanno rivelando alcuni aspetti inquietanti della vita militare. La fuga davanti alle responsabilità da parte di un militare dal quale dipendono altri militari è sicuramente una pessima immagine della forza armata che stona con le notizie di un sempre maggiore coinvolgimento dei militari italiani, ed in particolare dei paracadutisti, sui fronti di guerra della Libia, dell’Afghanistan o dell’Iraq. Una immagine che oggi non ci lascia indifferenti e solleva non pochi dubbi sulle truppe mandate a combattere l’IS.