Il governo vuole imbavagliare i sindacati militari con nuovi Regolamenti: sonora bocciatura del Consiglio di Stato
La sindacalizzazione delle Forze Armate sembra destinata a scontrarsi con le resistenze della burocrazia. Lo schema di regolamento attuativo predisposto dal Ministero della Difesa è stato sottoposto al vaglio del Consiglio di Stato, che ha formulato numerose criticità rispetto alle modalità con cui tali diritti verranno concretamente esercitati.
A cosa servono i regolamenti?
Le norme contenute nello schema di regolamento bocciato dal Consiglio di Stato sono fondamentali per disciplinare nel concreto il funzionamento e le modalità di azione dei sindacati militari, da poco costituitisi. Si tratta delle regole che definiscono tutti gli aspetti del rapporto tra Amministrazione della Difesa e organizzazioni sindacali: dalle visite nei luoghi militari allo svolgimento delle assemblee, dalla gestione dei bilanci sindacali alle norme sulla trasparenza, dai criteri per determinare la rappresentatività delle sigle alla regolamentazione delle cariche elettive.
In assenza di questo quadro normativo chiaro e completo, l’attività delle associazioni sindacali rischia di rimanere ingessata, impossibilitata a esplicare concretamente quelle funzioni di tutela degli interessi dei lavoratori in uniforme che ne rappresentano la ragion d’essere.
Cosa ha bocciato il Consiglio di Stato?
In particolare, i giudici amministrativi hanno censurato l’esclusione del personale militare in ausiliaria dal computo della rappresentatività sindacale, ritenendola in contrasto con la volontà del legislatore di riconoscere pienamente i diritti sindacali anche a questa categoria di militari. Anche alcuni divieti previsti nello schema, come quello di diffondere all’esterno documentazione audiovisiva delle assemblee sindacali, sono stati giudicati eccessivamente stringenti e lesivi del principio di trasparenza sancito dalla legge.
“Suscita, peraltro, perplessità – sottolineano i giudici – quanto previsto al nuovo numero 13bis), laddove si sanziona con la consegna di rigore la divulgazione di documentazione audiovisiva dell’attività svolta durante le riunioni che si svolgano anche in uniforme, in locali messi a disposizione dall’amministrazione”.
C’è poi il rischio di discriminazioni nell’accesso dei parlamentari alle caserme: si prevede che possano incontrare solo i rappresentanti regionali dei sindacati nazionali, con possibile lesione del pluralismo.
Ma sono soprattutto le procedure di designazione dei rappresentanti sindacali negli organismi consultivi (dalle commissioni per gli alloggi a quelle per l’assegnazione dei mutui) a destare perplessità nel Consiglio di Stato. Tra meccanismi di rotazione quadrimestrale, voti ponderati in base alla rappresentatività, limiti di accesso per le sigle minori, si delinea un sistema farraginoso che rischia di negare in concreto il pluralismo sindacale.
In generale, il Consiglio di Stato ha criticato la tendenza del regolamento a riprodurre pedissequamente norme già contenute nella fonte primaria, appesantendo inutilmente il testo, e ad introdurre limitazioni non contemplate dalla legge.
L’analisi del Consiglio di Stato segnala un eccesso di rigidità burocratica da parte del Ministero della Difesa, con il rischio di vanificare nella pratica le conquiste sulla carta. Le osservazioni compongono un duro atto d’accusa contro tentennamenti ed eccessive cautele nell’apertura ai diritti sindacali.
Il Silenzio della Difesa
Alla luce di queste numerose criticità sollevate dal Consiglio di Stato, appare ora chiaro il motivo per cui il Ministero della Difesa abbia evitato di condividere e coinvolgere i sindacati nella stesura dei regolamenti attuativi. La presenza di errori tanto marchiani, che tradiscono una comprensione approssimativa della portata innovativa della legge, lascia trapelare una probabile volontà politica di svuotare la riforma da parte dei vertici della Difesa.
Dopo i rilievi espressi, appare impossibile che il Ministro in persona non si sia reso conto delle storture presenti nello schema di regolamento. Il silenzio e l’inerzia di fronte alle legittime richieste di confronto da parte dei sindacati rivelano una precisa strategia dilatoria, volta a negare concretamente quella libertà sindacale sbandierata pubblicamente come una conquista di civiltà.
Dietro l’impostazione dei discussi schemi di regolamento sembra profilarsi l’ombra di consulenti ed esperti nostalgici di una concezione verticistica ormai superata, che mal digeriscono l’apertura al sindacalismo come fattore di modernizzazione delle forze armate.
Equilibrio tra specificità e agibilità sindacale
La partita per dare piena attuazione ai principi stabiliti dalla legge è ancora tutta da giocare. Sarà necessario calibrare con attenzione l’equilibrio tra le specificità del comparto militare e l’esigenza di garantire autentici spazi di agibilità sindacale, come sancito dalla fonte primaria. Le osservazioni del Consiglio di Stato rappresentano un monito ad evitare che lo spirito innovatore della riforma venga annacquato da un eccesso di burocratismo e cavilli normativi.
Ora la palla passa nuovamente alla Difesa, chiamata a rivedere lo schema di regolamento alla luce dei rilievi mossi. I sindacati militari confidano in un deciso cambio di passo, nel solco del confronto con le parti sociali auspicato dallo stesso Consiglio di Stato.
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