IL CARABINIERE PUNITO PERCHÉ SI SCHIERA CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE
Nella comunicazione della sanzione disciplinare che il vice brigadiere ha ricevuto dai suoi superiori si legge «…svolgeva attività quale “direttore delle attività sociali di associazione antiviolenza” nella medesima località di servizio nonostante l’adesione al sodalizio non fosse stata preventivamente avallata dal Comando di Corpo in quanto pregiudizievole per le prioritarie esigenze di servizio e condizionante l’adempimento dei doveri connessi con lo status di militare».
Avremmo potuto continuare a scrivere della questione in tanti altri modi differenti. Avremmo potuto continuare a elencare i numeri e le statistiche o magari fare un elenco delle differenti tipologie di reati di cui sono quotidianamente vittime le donne o, ancora, avremmo potuto raccontare delle tante ragazze che proprio nelle forze armate sono vittime di abusi di ogni tipo o del fatto che i reati di natura sessuale sono sottratti al vaglio del giudice militare. Avremmo potuto scrivere tanto altro ma in mezzo a tante belle parole e buoni propositi di questi giorni la notizia della punizione inflitta è arrivata come un pugno nello stomaco e c’è sembrata l’occasione, forse quella giusta, per porre sul piatto della bilancia una riflessione sulle possibilità che potrebbe avere l’Arma per conseguire sempre maggiori successi nella battaglia contro gli odiosissimi crimini di genere se solo decidesse di sfruttare, in modo costruttivo, anche le scelte di quei carabinieri che fuori dal normale orario di servizio decidono di continuare a lottare dalla parte della legalità, aderendo alle associazioni antiviolenza regolarmente iscritte negli elenchi regionali e nazionali che sempre più spesso rappresentano una presenza rassicurante per il territorio nel quale nascono, si sviluppano e operano. Molte volte sono la sola soluzione per ridurre i fattori di rischio perché, come ha dichiarato in queste ore anche il capitano Francesca Lauria, comandante della sezione “Atti persecutori” del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche che conta attualmente solo 15 militari, “Il clima culturale è in parte cambiato e la consapevolezza del problema è cresciuta. Ma resta una forte resistenza delle donne a denunciare”.
Se per un verso è l’articolo 18 della nostra bellissima Costituzione ad affermare che: “I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale”, dall’altro, il continuare a vietare ai cittadini carabinieri di iscriversi ad associazioni o subordinarne l’adesione al vaglio preventivo del superiore gerarchico equivale senza alcuna ombra di dubbio al sottrarre alla prevenzione e al contrasto della violenza sulle donne, ma anche alla lotta alla violenza più in generale, quelle particolari e specifiche capacità e professionalità che un cittadino comune certamente non possiede. Sempre con l’occhio alla Carta costituzionale non va dimenticato che i militari che si iscrivono o rivestono cariche nelle più svariate associazioni, da quelle sportive a quelle culturali, sono moltissimi e nessuno di questi ha mai ricevuto una sanzione disciplinare. A attualmente sul fronte del diritto di associazione chi indossa le stellette ancora non può costituire o aderire alle associazioni di carattere sindacale è questo, assieme al divieto di fare propaganda politica, è uno dei pochi ma non trascurabili impedimenti che restano a separarli dal resto della società civile.
Nella giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne è anche doveroso ricordare che il personale dell’Arma dei carabinieri è impegnato nella costante azione di prevenzione e contrasto alla criminalità che colloca la Benemerita tra le istituzioni maggiormente impegnate anche sul delicato fronte della violenza sulle donne.