IL CAPITANO ULTIMO: «IO, GUARITO DA UN’AQUILA»
L’incontro con il capo Apache
Ma torniamo al capo Apache. «Dopo la sua risposta io e miei uomini lo incontrammo. È stato con noi due giorni senza dire una parola, ci scrutava in silenzio. Alla fine del secondo giorno ci ha detto: vi ho osservati. Siete come questa mano: se la vedi aperta sono cinque dita, se la vedi chiusa è la forza di un pugno. Ci ha raccontato delle sofferenze della sua gente e ci ha parlato della famiglia delle aquile alla quale lui chiede sempre un parere prima di prendere una decisione». È stato quel giorno che l’idea di avere un’aquila ha cominciato a cercare spazio nei pensieri di Ultimo (nel frattempo diventato colonnello e oggi operativo al Noe). «Tanti anni dopo quell’incontro mi è capitato di vivere un periodo davvero nero — racconta lui —. Stavo male, sono finito in ospedale ma nessuno capiva cosa avessi». Era il tempo delle accuse per la non perquisizione al covo di Riina, Ultimo fu travolto dal processo (poi è stato assolto), «ma per favore avevamo detto solo le aquile, non voglio parlare di mafia né di quello che ho sentito in aula, né voglio gloriarmi della cattura di Riina… Io nel frattempo sono andato avanti, non mi sono mai fermato».
Il rapporto con gli animali
Riprendiamo. «Ero in ospedale e una notte ho fatto un sogno: mi venivano addosso moltissimi falchi ma invece di beccarmi mi sfioravano, quasi delle carezze. Per me quello era un messaggio di Ronnie: mi suggeriva di curarmi con i falchi. Quando sono uscito sono andato dai falconieri, ho fatto un corso e ne ho preso uno. Non sono mai più stato male. E appena ho potuto sono passato dal falco alle aquile. È così che sono guarito». Oggi il capitano Ultimo ha due aquile reali — un maschio di nome Wahir e una femmina che si chiama Lacrima, nate in cattività —, una falconeria e rapaci di vario genere nella casa famiglia che ha tirato su assieme ad amici, volontari e uomini della sua vecchia squadra. Si occupano di minorenni in difficoltà alla periferia est di Roma, nella Tenuta della Mistica.
Tra Lacrima e Wahir
«Qui creiamo sopravvivenza» racconta lui mentre infila il guanto di cuoio per tenere sul braccio le sue aquile. «Per me è una preghiera fare giustizia senza chiedere niente in cambio, è una preghiera fare il prete-carabiniere cercando di creare tutta l’eguaglianza e la bellezza possibile nella sopravvivenza di chi viene alla nostra porta e la trova aperta». Si infila nel capanno a prendere Lacrima. Due metri e più di apertura alare, «la potenza, la bellezza e la perfezione messe assieme» la presenta lui. «Quando vola volo con lei, la vedo planare e plano con lei, quando arriva sento addosso il soffio del vento. Se un giorno volesse andare è libera di farlo, finora è sempre tornata». Le aquile hanno un partner per la vita e sia per lei sia per Wahir il partner è Ultimo. In primavera, quando arriva, loro fanno versi d’amore per lui e lui ricambia con parole, carezze e ramoscelli per costruire il nido. Un giorno ha raccolto una penna. L’ha impacchettata e l’ha spedita al suo amico Apache.