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I FINANZIERI POSSONO SOFFIARE IL FISCHIETTO?

La parola «whistleblower» deriva
dalla frase «to blow the whistle», letteralmente «soffiare il
fischietto», e si riferisce all’azione dell’arbitro nel segnalare un fallo o a
quella di un poliziotto che tenta di fermare un’azione illegale.

Nel diritto anglosassone il termine identifica un
individuo che denunci pubblicamente o riferisca alle autorità attività illecite
o fraudolente all’interno di un apparato governativo oppure di
un’organizzazione pubblica o privata.
Le rivelazioni possono essere di varia natura:
violazione di una legge o un regolamento, minaccia di interesse pubblico come
in caso di corruzione e frode. Lo scandalo Watergate, per esempio, è partito
proprio dalle rivelazioni di un informatore segreto interno.
La legge n. 190/2012 – “Disposizioni per la
prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica
amministrazione
” – ha introdotto, per la prima volta in Italia, una
norma specificamente diretta alla regolamentazione del whistleblowing
nell’ambito del pubblico impiego.
Il tema è presente nelle previsioni di cui al comma
1 del nuovo art. 54-bis D.Lgs. n. 165/2001, che espressamente dispone:
«Fuori dei casi di responsabilità a titolo di
calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell’art. 2043
codice civile, il pubblico dipendente che denuncia all’Autorità Giudiziaria o
alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte
illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non
può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria,
diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi
collegati direttamente o indirettamente alla denuncia
».
Anche la Guardia di Finanza, al pari di altre
amministrazioni, ha recepito il pacchetto anticorruzione, lo ha fatto
all’interno del “Piano
triennale di prevenzione della corruzione 2015-2017
”.
La disciplina del whistleblowing è stata inserite
nel paragrafo 3.9 – “Tutela del dipendente che effettui segnalazioni di
illecito (cd. whistleblower
)”[1] –
che così recita:
«La concreta attuazione delle disposizioni di cui
all’art. 54 bis del d.lgs. n. 165 del 2001 – introdotto dalla legge
anticorruzione – e delle istruzioni dettate dal P.N.A.26 non appaiono, come
già osservato nel Piano triennale 2014/2016, concretamente applicabili
al Corpo
, in considerazione:
a. delle qualifiche di ufficiali
e agenti di polizia giudiziaria dei suoi appartenenti (con conseguente obbligo
di denuncia dei fatti costituenti reato, ai sensi delle vigenti disposizioni
del c.p.p.);
b. dello status giuridico di
militare rivestito dai finanzieri, cui conseguono doveri informativi verso i
Superiori previsti dal Codice dell’ordinamento militare (D.Lgs. 66/2010) e dal
Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare
(D.P.R. 90/2010).
Pur tuttavia, atteso che le prescrizioni del Piano
sono estese anche al personale civile operante, nell’ambito di un rapporto
contrattuale, per conto o all’interno delle strutture del Corpo (cfr. par.
1.7), la disciplina in esame è applicabile evidentemente a questi
ultimi
.”
Da una prima lettura, con particolare attenzione al
punto a), parrebbe emergere che la disciplina non costituisce una
novità per il Corpo poiché il finanziere, in virtù delle sue qualifiche di
polizia giudiziaria, deve comunque denunciare all’Autorità Giudiziaria o alla
Corte dei conti le condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione
del rapporto di lavoro.
Un tale interpretazione, però, non si coniuga con la
premessa  (“la disciplina del whistleblowing non appare applicabile al
Corpo”)
 e con le conclusioni (“la disciplina in esame evidentemente
è applicabile solo al personale civile operante all’interno delle
strutture del Corpo”)
.
Da un esame più analitico della norma parrebbe
emergere, al contrario, che il motivo della pretesa esclusione del Corpo dalla
disciplina del whistleblowing, risieda nella motivazione esposta nel successivo
punto b): lo status militis rivestito dai finanzieri.
Quando si parla di “doveri informativi verso i
Superiori derivanti dallo status giuridico di militare
”, infatti, ci si
riferisce ai doveri che derivano dagli artt. 715, comma 2, e 748, comma 5,
lettera b) del DPR n. 90/2010.
Il primo impone al militare di osservare la via
gerarchica nelle relazioni di servizio e l’altro gli impone di dare sollecita
comunicazione al proprio comando degli eventi in cui viene coinvolto e che
possono avere riflessi sul servizio.
In passato, interpretato e applicato le citate
norme, si è addirittura proceduto a sanzionare disciplinarmente con 3 giorni di
consegna[2]un ufficiale di
polizia giudiziaria a status militis con la seguente
motivazione: “per essersi recato presso l’autorità giudiziaria militare
per rappresentare fatti attinenti il servizio nel mancato rispetto dei rapporti
gerarchici e senza informare tempestivamente, preventivamente o
successivamente, il superiore diretto dell’avvenuto incontro con l’autorità
giudiziaria”
. Si consideri che nel caso di specie, il fatto ritenuto
penalmente rilevante coinvolgeva proprio l’operato e il comportamento dei
superiori gerarchici.
Stando così le cose, parrebbe che le amministrazioni
militari abbiano scelto di comprimere la complessa disciplina del whistleblowingriducendo
il numero dei soggetti preposti alla ricezione della segnalazione da tre –
l’Autorità Giudiziaria, la Corte dei Conti e il superiore gerarchico – ad uno:
il superiore gerarchico.
E in caso di segnalazioni che abbiano ad oggetto
atti commessi dallo stesso superiore gerarchico?
Ci si domanda: ma è possibile che i regolamenti
militari, che nella gerarchia delle fonti sono subordinati alla legge, abbiano
anestetizzato la portata della disciplina del whistleblowing sottraendo
così alla giustizia un valido strumento nella lotta contro la corruzione?
La risposta la forniscono tre magistrati del TAR
della Campania che hanno firmato la sentenza nr. 03158/2014[3],
che riguarda il caso a cui prima ho fatto cenno: «..il diritto di denuncia
non può essere soggetto, attraverso la minaccia della sanzione, ad una sorta di
filtro gerarchico. Una diversa interpretazione condurrebbe alla inaccettabile
conclusione che il militare venuto a conoscenza di un reato in qualche modo
connesso al servizio che espleta, non potrebbe denunciarlo dovendo rivolgersi
esclusivamente agli organi interni gerarchicamente sovraordinati[4]..».
Disquisizione lunga, ma ne è valsa la pena perché a
questo punto possiamo fornire una risposta ragionata alla domanda di partenza.
CERTAMENTE
SI. ANCHE I FINANZIERI POSSONO SOFFIARE IL FISCHIETTO
.
Si auspica, infine, che il prossimo piano triennale
di prevenzione della corruzione preveda, come già avviene in altri Paesi, anche
dei meccanismi premiali – elogi o encomi, semplici o solenni – per il
finanziere-whistleblower.
Cleto Iafrate
Direttore laboratorio delle idee FICIESSE
Presidente della Sezione FICIESSE di Taranto

[1] «La concreta attuazione delle disposizioni
di cui all’art. 54 bis del d.lgs. n. 165 del 2001 – introdotto dalla legge
anticorruzione – e delle istruzioni dettate dal P.N.A.26 non appaiono, come già
osservato nel Piano triennale 2014/2016, concretamente applicabili al Corpo, in
considerazione:
a. delle qualifiche di ufficiali e agenti di
polizia giudiziaria dei suoi appartenenti (con conseguente obbligo di denuncia
dei fatti costituenti reato, ai sensi delle vigenti disposizioni del c.p.p.);
b. dello status giuridico di militare rivestito
dai finanzieri, cui conseguono doveri informativi verso i Superiori previsti
dal Codice dell’ordinamento militare (D.Lgs. 66/2010) e dal Testo unico delle
disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare (D.P.R. 90/2010).
Pur tuttavia, atteso che le prescrizioni del Piano
sono estese anche al personale civile operante, nell’ambito di un rapporto
contrattuale, per conto o all’interno delle strutture del Corpo (cfr. par.
1.7), la disciplina in esame è applicabile evidentemente a questi
ultimi
.”
[2] Per un approfondimento sulla sanzione di Corpo
della consegna si veda IL PARADOSSO DI UN’EUROPA PIU’ ATTENTA A
FORME E DIMENSIONI DEI CETRIOLI CHE NON AL DIRITTO DI LIBERTA’ PERSONALE DEI
CITTADINI MILITARI
”, pubblicazione online.
[3] Di seguito il link che rimanda alla sentenza:
https://www.giustizia amministrativa.it/cdsintra/cdsintra/AmministrazionePortale/DocumentViewer/index.html?ddocname=2TWU57Y2I7OEHHXHS5LBDYRBLQ&q=Stazione
or Scali or Marittimi
[4]Una tale conclusione emerge anche dai risultati
della prova di laboratorio, esposta nella delibera n. 4/15/XI licenziata dal
Co.Ba.R. affiancato al Comando Operativo Aeronavale della Guardia di Finanza: i
risultati di laboratorio hanno stabilito, infatti, che l’aria tiepida rilevata
al flir non era di origine “spiritosa” ma di
natura “gassosa”.

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