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“I CARABINIERI CONDANNATI SONO QUELLI CHE HANNO ARRESTATO RIINA”. MARTELLI IN DIFESA DEI VERTICI DEL ROS

(Marco Ventura per “il Messaggero”) «Gli ufficiali dei carabinieri condannati sono gli stessi che hanno guidato l’arresto del capomafia per eccellenza, Riina. Suscita sgomento assiemare i birri e gli sbirri, direbbe Manzoni, e solleva interrogativi e perplessità».

giovanni falcone claudio martelli

GIOVANNI FALCONE CLAUDIO MARTELLI

Per Claudio Martelli, all’epoca ministro della Giustizia, è singolare che siano state «rimosse le responsabilità politiche» e riconosciuto il dolo dei vertici del Ros. Il loro comportamento «fu poco chiaro, scorretto. Mai però li ho considerati ufficiali felloni. Ho pensato a un eccesso di potere nello sviluppare indagini in proprio, nel cercare coperture politiche dal ministero della giustizia o dal presidente della commissione parlamentare antimafia Violante, nel non riferire alla Dia, ai magistrati. Mai però ho immaginato che quel comportamento configurasse un reato così grave. Quale sarebbe il corpo politico dello Stato sottoposto a minacce o violenza?»

Il governo?

 

«Quale governo? L’accusa al governo Andreotti regge poco, Mannino è uscito assolto dallo stralcio di processo, e già era paradossale accusarlo di violenza o minaccia all’esecutivo di cui faceva parte. Sono contento per Mancino assolto, ma non comprendo una responsabilità così grave in capo ai vertici del Ros, giudicata in precedenza in modo totalmente difforme dallo stesso Tribunale di Palermo. Un rompicapo pirandelliano generato da giudizi difformi. Sembravano più robusti gli elementi nell’accusa di aver lasciato libero Provenzano, o non aver perquisito il covo di Riina, ossia un accordo in cambio di sconti di pena o dell’ impunità.»

Quali le responsabilità politiche rimosse?

«C’era una pista non trascurabile: le dichiarazioni di Conso, l’ex ministro della Giustizia che mi sostituì nel febbraio ’93, che forse in un eccesso di generosità, forse nell’intento di non nascondersi chiamando in causa livelli più alti del suo, si assunse la responsabilità confessando d’aver voluto dare un segnale di disponibilità all’ala moderata di Cosa Nostra con la revoca a centinaia di mafiosi del regime carcerario del 41bis».

Giovanni Conso

GIOVANNI CONSO

Due pesi e due misure, verso il Ros e verso i politici?

«Mannino era uscito dal processo, Conso è morto, né si può intentare un processo alla memoria di Scalfaro, se ne occuperanno semmai gli storici».

Perché Scalfaro?

«Ci sono alcuni episodi, dalla sostituzione di Scotti con Mancino ministro dell’Interno a quella improvvisa di Niccolò Amato direttore degli Affari penitenziari con un uomo segnalato a Scalfaro dai cappellani delle carceri. Lui li convoca, loro si lamentano della durezza di Amato, lui chiede il nome di un magistrato che lo sostituisca, lo si individua, e Amato viene rimosso. Colpisce che il Presidente si occupi di questo. E che la strategia rigorosa mia, di Scotti e di Falcone, stroncare cupola ed esercito della mafia, sia stata interrotta, il che non ha impedito poi l’arresto di tutti i latitanti… Difficile che Conso, grande giurista ma non esperto di lotta a Cosa Nostra, da solo si fosse immaginato lo stop alle stragi attraverso il 41bis. E che avesse coscienza già nella primavera 93 che esistevano due linee nella Cupola: Riina stragista, Provenzano trattativista».

E la condanna di Marcello Dell’ Utri?

«La sua responsabilità sembra arrestarsi al ’93, prima che il governo Berlusconi si insediasse. Di Maio la butta in politica e così rischia in realtà di buttarla in cagnara, aggiungendo veleni alla partita che si è aperta nel centrodestra. Non mi sembra che Berlusconi sia direttamente coinvolto.»

La verità qual è?

«C’ è stato un brusco cambio di strategia anti-mafia all’ indomani delle mie dimissioni, sapevano che la linea di Conso, io non l’avrei mai perseguita anzi l’avrei denunciata. Però ho sempre parlato di responsabilità politiche, ho raccontato la visita del capitano De Donno alla vice di Falcone, Ferraro, in cui chiedevano cose che non dovevano chiedere: la copertura politica a un’indagine fatta in solitudine. Questo mi inquietò, chiesi spiegazioni, ne informai Borsellino, ma mai ho pensato che ci fosse dolo. Sull’altro fronte mi colpisce che le responsabilità politiche affiorate di tanto in tanto siano state tenute in non cale».

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