Guerra in Ucraina, il generale Poletti: “Non è detto che sia lampo”
La crisi in Ucraina può generare una crisi mondiale. La Cina, ad esempio, potrebbe approfittare del momento per riprendersi Taiwan, mentre non è da escludere un nuovo conflitto tra Iran e Israele. Il generale Paolo Poletti, vicepresidente di Digimetrica, spiega quelle che potrebbero essere le conseguenze dell’attacco russo. Secondo l’esperto, inoltre, la guerra di Putin da lampo potrebbe trasformarsi in guerriglia e in tal caso non è da escludere l’intervento dell’Europa. L’ex capo di Stato Maggiore, poi, parla anche dalla lotta sul web, pericolosa per quanto concerne i dati sensibili.
Da dove nasce la crisi in Ucraina?
“Da quando ha preso il potere nel duemila, Putin ha sterzato sempre più verso una politica autocratica, non democratica. Un corollario di questa politica è stato concepire la sicurezza come ripristino di fatto dei vecchi confini dell’Urss, attraverso la creazione di stati satelliti. E’ una visione un po’ maniacale quella di Putin”.
Fino a dove si spingerà la sua azione?
“Putin vuole ricreare la zona di influenza russa, ma anche creare un rapporto diverso con l’Occidente. Intende essere concepito come attore indispensabile per la sicurezza in Europa, sia per contare, ma soprattutto per gestire meglio il rapporto con la Cina. Non a caso il presidente russo stringe un’alleanza opportunistica con quest’ultima, abbraccio mortale da cui è difficile sciogliersi. Non è escluso, quindi, che voglia presto nuove relazioni con l’Europa”.
La sorprende che la stessa Cina possa approfittarne del periodo caldo per riprendersi Taiwan?
“Uno dei rischi della crisi in Ucraina è che in Cina, a maggior ragione dopo la ritirata dall’Afghanistan, possa arrivare il messaggio che l’Occidente non sia in grado di dare risposte militari decise ad azioni aggressive. La Cina, pertanto, potrebbe essere tentata verso Taiwan. Non credo, tuttavia, che lo farà presto perché sa calcolare il tempo. Questo non è il momento migliore. La crisi in Ucraina, però, sicuramente può far ripensare alla Cina la sua agenda nei confronti di Taiwan”.
La crisi in Ucraina può generarne altre?
“La crisi che mi preoccupa di più è l’attrito tra Iran e Israele. In questa situazione di incertezza e di difficoltà nelle risposte, il primo potrebbe essere tentato ad alimentare la pressione sul secondo, anche a causa degli stessi partiti sciiti che lo controllano”.
Molte realtà, nel Mediterraneo, dipendono dal grano dell’Ucraina. Senza risorse primarie non si può escludere nulla…
“Assolutamente sì! In più c’è il costo delle materie prime, compresi i prodotti agricoli, i cereali, problema da non sottovalutare. E’ verosimile che l’inflazione non abbasserà la testa. Può succedere che le banche centrali siano costrette a un rialzo dei tassi, aumentando il costo del denaro. Potremo trovarci, speriamo che non accada, in una situazione come la stagflazione degli anni ottanta, un misto di inflazione e stagnazione. Tutto costa di più, i salari non aumentano e le aziende non possono scaricare gli aumenti sui prezzi”.
La scelta delle sanzioni è stata vincente?
“Al momento realistica. Tutti sappiamo, che nel medio-lungo periodo, ne pagheremo delle conseguenze. Si è fatto quello che si poteva. Non c’è nemmeno l’interesse a strangolare del tutto la Russia. Le sanzioni più efficaci sono quelle nei confronti delle banche. Consideriamo che le due principali controllate dallo stato russo da sole hanno un debito che corrisponde a un terzo del prodotto interno russo. Se queste avessero difficoltà a rifinanziare il debito ciò comporterebbe a una caduta delle stesse e un effetto domino su altri soggetti finanziari. Le sanzioni possiamo dire, quindi, che non sono decisive, ma sono il massimo che si poteva fare. Bisogna vedere, poi, come reagirà l’opinione pubblica russa, che di fronte a difficoltà di tipo economico, a maggior ragione se la guerra in Ucraina diventa di posizione o peggio ancora guerriglia. Quest’ultima potrebbe alzare la testa contro lo stesso Putin e il suo governo”.
A proposito di strategie di battaglia, in Ucraina, a suo parere, ci sarà una guerra lampo?
“Non è prevedibile. Se calcoliamo le forze in campo potremmo dire che il conflitto finirà presto ed è giusto il messaggio dei russi che dicono alla gente di restare a casa e che tutto in pochi giorni si concluderà, ma se gli ucraini prendessero le armi e trasformassero il conflitto in resistenza o meglio ancora in guerriglia allora la questione cambia molto. A questo punto non escludo che anche noi saremmo costretti a sostenere militarmente i resistenti”.
Anche in tale situazione è fondamentale la questione dei dati sensibili. Quanto conta la cybersecurity nel conflitto?
“Il web può alimentare il conflitto, non frenarlo. A oggi c’è stata la presa di posizione di anonymous, collettivo di hacker che ha dichiarato guerra alla Russia, facendo attacchi contro le tv, i giornali e i siti sovietici. Allo stesso tempo abbiamo registrato attacchi informatici di soggetti russi o meglio ancora di gruppi di professionisti presi in appalto, nei confronti dei paesi confinanti come l’Ucraina o la stessa Polonia. Allo stato sono azioni dirette soprattutto verso le istituzioni. Non è da escludere, però, che nel medio-periodo, possano diventare più mirate, anche nei confronti delle singole aziende per bloccare l’operatività di settori strategici”.
Quali le armi digitali adottate?
“Si sono rispolverati dei sistemi vecchi di attacco, ovvero quelli wipers, cioè attacchi che mirano non a copiare i dati, ma a distruggerli”.