GLI ASPIRANTI MILITARI DEVONO ESSERE ‘SANI COME PESCI’ E, SOPRATTUTTO, NON CELIACI
La direttiva IGESAN, riferita alle sole Forze Armate (Esercito, Marina, Aeronautica ed Arma dei Carabinieri), riguarda sia i celiaci che vogliono arruolarsi nell’Esercito, sia molti celiaci già in uniforme. Secondo quanto decretato dal Capo di Stato Maggiore della Difesa nella direttiva IGESAN, “per il personale in servizio, la diagnosi di intolleranza al glutine non comporta alcun provvedimento medico-legale, salvo i casi in cui le manifestazioni sintomatologie siano talmente rilevanti da pregiudicare la idoneità al servizio, trascorso il periodo di temporanea inidoneità“. Ciò vuol dire che, salvo casi in cui vi è insorgenza di sintomi piuttosto gravi che compromettono le funzionalità dell’individuo, chi soffre di Celiachia è idoneo al servizio militare e, dunque, in estrema sintesi, è ammessa la presenza di celiaci nell’Esercito.
Un caso a parte, però, è rappresentato dai celiaci che vogliono arruolarsi nell’Esercito, o in altre Forze Armate, passando, come si conviene, dai Concorsi di Selezione. I concorrenti che presentano la patologia della Celiachia, secondo quanto scritto nella direttiva IGESAN, sarebbero sì giudicati idonei al servizio militare, ma, tra quelli previsti nel bando di concorso, sarebbero in possesso di un profilo sanitario AV EI 3 che, in base agli attuali criteri generali e requisiti richiesti dai bandi concorsuali, non ne consentirebbero il reclutamento. Quindi, in altre parole, sono esclusi da ogni Concorso di Selezione per entrare nell’Esercito. Attualmente, dunque, ai giovani celiaci desiderosi di intraprendere una carriera militare, la normativa vigente preclude l’accesso al reclutamento per ogni ruolo e grado militare.
A tal proposito riportiamo un interessante articolo di Concita De Greogorio, editorialista di Repubblica:
“Dalla lettera di Maria Orfeo scopro che sua figlia non può essere assunta nell’Arma dei Carabinieri perché celiaca. La relazione fra quello che un carabiniere mangia e la sua efficacia sul lavoro mi sfugge completamente, forse potete aiutarmi a capirla. Intanto ascoltiamo Maria.
“Un tempo i bambini con problemi di apprendimento venivano chiamati minorati e iscritti nelle cosiddette classi differenziali. Poi, con vezzo anglofono ma senza mutar sostanza, iniziammo a definirli portatori di handicap. Infine, grazie all’evoluzione del pensiero e dei costumi, sono finalmente diventati diversamente abili, con una valorizzazione della diversità che sottolinea il tema dei diritti e delle pari opportunità di tutti i cittadini. In altro ambito la famigerata locuzione “abile, arruolato”, che concludeva le visite mediche della leva militare obbligatoria, creava quella bizzarra distinzione fra gli “abili” e gli “inabili””.
“Nella categoria degli “inabili” si annoveravano soggetti che potevano presentare problematiche di salute incompatibili con l’esercizio dell’attività militare. Credevo fermamente che fosse così fin quando … ho appreso di una clamorosa “inabilità” che impedirà a mia figlia, laureata in giurisprudenza, di coronare il suo sogno di essere assunta nell’Arma dei Carabinieri, in quanto “inabile” a causa della sua celiachia. Per svolgere l’importante e nobile mestiere del carabiniere è indispensabile essere in grado di cibarsi di glutine!”.
“E’ brava, onesta, competente, motivata ma… si alimenta con cibo de-glutinato. Soffre di una patologia che si cura senza farmaci, in quanto la dieta di cibi senza glutine è l’unica terapia che garantisce al celiaco di mantenere un perfetto stato di salute. In altre parole: il celiaco che elimina il glutine dalla sua alimentazione si considera guarito, quindi – mi aspetterei – “abile”, sebbene “diverso” dagli altri”.
“E invece per l’Arma no, il glutine è fondamentale. Se non ti cibi di esso perdi “diritti”, diventi “inabile”, non ti arruolano e addio sogni. E’ triste nel 2017 fustigare l’entusiasmo e la passione di una giovane per una “diversità” che niente nuocerebbe alla professionalità di un’ufficiale carabiniere. Mia figlia è oggettivamente vittima di una discriminazione che la priva di un diritto, dopo che la natura l’ha privata di un altro, quello di alimentarsi liberamente”.