Difesa

Europa in assetto da guerra: Italia regia della svolta armata di Bruxelles? Le contestazioni “Crosetto, in guerra vacci tu”

Nel cuore di Roma, al Ministero della Difesa, si è riunito ieri il cosiddetto Gruppo dei Cinque (Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Polonia). Un summit che, nei toni e nei contenuti, non ha lasciato spazio a dubbi: l’Europa si sta militarizzando, ed è guidata da chi, come Guido Crosetto, parla chiaro e senza fronzoli.

«Di fronte al pericolo più grande che l’Europa sta correndo negli ultimi 80 anni stiamo dando una risposta reale e concreta, che non si ferma di fronte alle differenze politiche ma sa unire gli interessi dei nostri popoli per un bene supremo, che è quello della difesa e della libertà».

Parole che pesano, quelle del ministro italiano, in un contesto in cui la minaccia russa e la necessità di costruire una difesa comune europea non sono più slogan ma realtà.

Il dossier Ucraina: «Agiamo come se ci fosse già la tregua»

Il vero protagonista del summit è stato, ancora una volta, il conflitto in Ucraina. Alla riunione ha partecipato anche il viceministro della Difesa ucraino, a conferma di un legame ormai strutturale tra Bruxelles e Kiev.

«Continueremo il coordinamento a sostegno dell’Ucraina, evitando duplicazioni e massimizzando l’impatto degli aiuti», ha dichiarato Crosetto.

Ma è la visione a lungo termine che fa discutere:

«Non importa chi rappresenterà l’Europa, perché abbiamo una visione e un obiettivo comune e ragioniamo come se ci fosse già la tregua».

Una frase che suona come una strategia post-bellica già in costruzione, mentre i fronti sono ancora attivi.

Difesa industriale e nucleare: l’Europa corre ai ripari

Se la guerra è oggi, il problema industriale è ieri. Crosetto non ha fatto sconti neanche su questo fronte:

«Siamo consapevoli che ognuna delle nostre nazioni è troppo piccola per affrontare le sfide che abbiamo avanti. Dobbiamo recuperare un gap anche industriale. Le nostre industrie non erano preparate a produrre la quantità di armamenti che ora sono necessari per difenderci».

Un’accusa implicita alle politiche di disarmo del passato, e un invito a spingere sulla produzione europea di armamenti.

Sul fronte nucleare, l’Italia resta sotto l’ombrello NATO:

«Non ci siamo mai posti particolarmente il problema, possiamo contare su quella degli Stati Uniti, oltre che su quella dei nostri alleati storici, Francia e Regno Unito».

Francia, UK e Germania: parole forti e scenari da guerra fredda

Il ministro francese Sébastien Lecornu ha garantito che:

«La deterrenza nucleare francese è sempre stata più vasta delle nostre frontiere, mai egoistica».

Una frase che suona come un messaggio a Mosca, ma anche ai partner europei.

Più diretto ancora il britannico John Healey, che ha lasciato intendere un possibile intervento diretto:

«Se è necessario siamo disponibili a mandare truppe in Ucraina, assieme ad altri attori. Non vorrei dare altri dettagli perché non vorrei informare anche Putin, ma ci sono delle pianificazioni che però dovrebbero rimanere classificate».

La Germania, con il ministro Boris Pistorius, resta focalizzata sul supporto tecnico:

«Potremmo fornire ulteriori aiuti militari per la difesa aerea e marittima all’Ucraina».

Infine, la Polonia: ferma nel suo no all’invio di uomini, come confermato da Kosiniak-Kamysz. Un equilibrio instabile, ma in movimento.

Hai perfettamente centrato il punto. Dietro la narrazione ufficiale dell’“obiettivo raggiunto” del 2% del PIL alla Difesa, si nasconde un quadro ben più frammentato e controverso, sia politicamente che all’interno dello stesso comparto Difesa.

Ecco un paragrafo aggiuntivo che inserisce questi dubbi in modo professionale ma diretto, con taglio giornalistico accattivante, e le dichiarazioni più recenti e verificabili di Minardo:

Il 2% divide: tra retorica politica e malcontento nelle caserme

L’applauso istituzionale al raggiungimento del 2% del PIL per la spesa militare appare, in realtà, più come un riflesso condizionato che una vera condivisione nazionale. L’Italia “plaude” davvero? O è semplicemente un consenso di facciata in attesa di vedere dove porti la direzione imposta da vertici internazionali? La verità è che tra le stesse fila della Difesa si avverte un malessere profondo, che non si percepiva con questa intensità forse dai tempi in cui Ignazio La Russa sedeva al Ministero. I fondi aumentano, ma non si vedono miglioramenti nelle condizioni di lavoro, negli stipendi o nei percorsi di carriera di migliaia di uomini e donne in divisa. Anzi, si teme che gran parte delle risorse resti congelata nei bilanci o assorbita da grandi programmi industriali, lontani dalle esigenze operative quotidiane.

E nemmeno in Parlamento il clima è sereno. Le dichiarazioni ufficiali di Nino Minardo, presidente della Commissione Difesa della Camera, raccolte il 16 maggio 2025, lo dimostrano. Pur riconoscendo che «l’Italia ha sempre rispettato i suoi impegni internazionali» e che «l’Alleanza Atlantica resta la più grande garanzia di sicurezza per l’Occidente democratico», Minardo frena subito: «ogni ulteriore aumento dovrà essere sostenibile, condiviso in sede parlamentare e inserito in un disegno strategico». E ancora: «apprezzo la prudenza del ministro Giorgetti, perché non si può derogare ai vincoli del Patto di Stabilità Ue».

In sintesi: un via libera con riserva, un sì condizionato che più che rafforzare la linea dell’Esecutivo, ne svela le crepe interne. Un segnale che la spesa militare non è (ancora) una priorità condivisa, e che il confronto vero – politico, sociale e operativo – deve ancora cominciare.

Torino: Crosetto contestato al Salone del Libro

Mentre a Roma si parlava di deterrenza nucleare e strategie militari, a Torino l’opinione pubblica ribolliva. Al Salone Internazionale del Libro, Crosetto è stato accolto da una ventina di attivisti pro Palestina, che hanno manifestato nei pressi dello stand del Ministero della Difesa.

«Crosetto Crosetto, in guerra vacci tu», lo slogan più ripetuto. In mano, cartelli con la scritta “Stop al riarmo” e una bandiera palestinese.

Le forze dell’ordine hanno rapidamente isolato il gruppo, accompagnandolo fuori dal padiglione Oval del Lingotto Fiere. Una contestazione simbolica che mostra quanto il tema della militarizzazione sia tutt’altro che condiviso tra i cittadini, specialmente tra i più giovani.

Un’Europa armata piace a chi comanda, ma non a tutti

Il vertice E5 lancia un messaggio chiaro: l’Europa non solo si arma, ma lo fa insieme, decisa a diventare protagonista militare e geopolitica. Ma fuori dai palazzi, tra i manifestanti e nelle piazze, il vento che soffia è molto diverso.

Le sfide sono immense, gli interessi divergenti, ma la direzione è tracciata. E in mezzo, l’Italia: nodo strategico, laboratorio politico, obiettivo critico.

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