EsercitoSenza categoria

ECCO COME I «CANI CON LE STELLETTE» FIUTANO IL CANCRO ALLA PROSTATA

(di Fabrizio Villa) – Dal 2002 presso il Gruppo
cinofili del Centro militare veterinario di Grosseto, élite dell’Esercito
Italiano, i cani soldato si addestrano alla ricerca di ordigni esplosivi, mine
interrate e all’inseguimento e immobilizzazione di elementi ostili. Lavorano in
simbiosi con i militari addestratori, o conduttori, a supporto delle più
complesse e a volte pericolose attività.

Dopo essere stati impiegati con
successo in tutti i teatri operativi internazionali, Kosovo, Iraq, Afghanistan
e Libano, da un po’ di tempo, grazie al loro speciale fiuto, vengono usati
anche per ricerche scientifiche come quella del cancro alla prostata. Al
comando del Centro militare veterinario c’è il colonnello Luca Virgilio che con
orgoglio ci spiega che i cani allevati e addestrati, di razza pastore tedesco e
pastore belga malinois, vengono valutati e selezionati individualmente in base
a caratteristiche di utilità e difesa. E cioè sono equilibrati, motivati,
socializzati e con particolare attitudine a collaborare con l’uomo. Inoltre,
sia i cani che i conducenti hanno già effettuato un periodo di addestramento
finalizzato alla ricerca di esplosivo. Anche se l’addestramento alla ricerca
delle sostanze volatili tipiche del cancro prostatico è sicuramente più
complesso rispetto a quello per la ricerca dell’esplosivo, perché non si
conosce la sostanza che il cane deve cercare, la metodica addestrativa è
simile. Il training di questi cani dura circa due anni. Liù, per esempio,
specializzato in precedenza alla ricerca di sostanze esplosive con una tecnica
consolidata, dopo pochi mesi, addestrato dal sergente Paolo Sardella, era in
grado di individuare il tumore alla prostata e riconoscere altre patologie.

Ad avere avuto l’idea di
chiedere la collaborazione
 dello Stato Maggiore è il professore
Gian Luigi Taverna, urologo, responsabile della divisione di Patologia
prostatica della clinica Humanitas di Rozzano (Milano). La prima fase di
verifica si è conclusa lo scorso aprile ed i risultati sono stati presentati al
congresso americano di urologia. Persino la prestigiosa rivista Journal of
Urology e la rivista scientifica Nature hanno dedicato un editoriale alla
ricerca italiana. “Ho deciso di iniziare la collaborazione con l’Esercito –
spiega il professor Taverna – perché i professionisti del Centro Militare
Veterinario dell’Esercito hanno un’esperienza unica nel loro settore, di
valenza internazionale. La delicatezza dell’argomento e l’impatto scientifico
che avrebbero determinato i risultati, imponevano, dal mio punto di vista, il
massimo dell’attendibilità e della serietà professionale nella scelta dei cani
e degli addestratori, nel controllo sistematico delle procedure e nel rigore
scientifico”. I cani sono in grado di riconoscere il paziente affetto di cancro
prostatico attraverso l’odore dell’urina nel 100% dei casi. La procedura di
riconoscimento è apparentemente semplice: vengono posizionati sei campioni di
urina di pazienti che si sono prestati volontariamente a questo tipo di
esperimento in sei pozzetti differenti. Uno solo di questi campioni proviene da
un paziente affetto da cancro prostatico. Il cane viene fatto ruotare intorno
ai pozzetti, quando lo individua si siede davanti, a confermare che ha fiutato
l’urina “malata”. In l’Italia è la prima volta che si fa un esperimento di
questo genere su larga scala. Lo studio ha coinvolto più di 1000 pazienti

Lascia un commento

error: ll Contenuto è protetto