Polizia

Cpr, il poliziotto: «Il pranzo arriva alle 16 e la cena a mezzanotte»

(di Elisa Sola) – Carenza di organico a tutti i livelli, condizioni di vita che fomentano malumori, tensioni che possono sfociare in veri e propri episodi di guerriglia. Che il Cpr di corso Brunelleschi sia un luogo ormai poco vivibile, è un’opinione di dominio pubblico non soltanto tra i medici e i volontari che si occupano di immigrati, ma anche di alcuni esponenti delle forze dell’ordine più informati. Lo spiega Eugenio Bravo, poliziotto e sindacalista a capo del Siulp di Torino, che sul Cpr ha raccolto una mole di documentazione.

«Il grave problema è che, a parte il nostro personale, manca quello della cooperativa», è la premessa di Bravo, che prosegue: «Gli immigrati mangiano male anche perché non vengono nemmeno rispettati gli orari dei pasti. Il pranzo arriva spesso alle 16, perché non c’è il personale che possa servirlo, a volte la cena la fanno a mezzanotte». Sembrano banalità, ma non è affatto così. «Se dai tardi il pasto, è probabile che si creino tensioni, ma non solo, che il cibo vada a male, che quindi sia pessimo e che venga rifiutato».

Mancano medici

Non solo. Bravo denuncia la carenza di medici: «Una volta il dottore era sempre presente — spiega — ora c’è solo tre ore al mattino e tre al pomeriggio. Se uno sta male al di fuori di quegli orari, si chiama l’ambulanza, se non è grave deve aspettare. E anche l’attesa della visita genera tensione, ovviamente». Altri dettagli rendono la permanenza all’interno del Cpr molto difficile. «Per fare qualsiasi cosa, andare alla barberia, o poter prendere una medicina, gli immigrati devono attendere gli accompagnatori, che sono pochissimi. Se non c’è nessuno a disposizione, il cosiddetto ospite deve aspettare anche tre o quattro ore per avere una pastiglia. L’allungamento dei tempi non aiuta la convivenza, soprattutto se, come prevede la nuova normativa, la permanenza si allunga da tre a sei mesi».

Paradossi

Poi ci sono dei paradossi. «Se un gambiano volesse, dopo due o tre mesi, tornare al proprio Paese — racconta Bravo — ma il suo Paese non lo accetta, lui è costretto a rimanere da noi, anche se noi ne prevediamo l’espulsione. È assurdo, sappiamo tutti che dopo 40 giorni al Cpr inizia la sofferenza, eppure in 40 giorni una procedura di identificazione la si può fare. Ma bisogna avere il personale e le scorte, che spesso non ci sono, nemmeno per accompagnare un detenuto all’aeroporto». (Corriere della Sera)

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