Consiglio di Stato conferma licenziamento per un carabiniere con tatuaggi vistosi: “Impossibilità di prosecuzione del rapporto lavorativo”
Con ricorso dinanzi al T.a.r. per l’Emilia Romagna un appuntato scelto dell’Arma dei Carabinieri in servizio dal 2007, impugnava il provvedimento sanzionatorio recante l’applicazione della sanzione di stato della rimozione del grado per motivi disciplinari del Ministero della Difesa – Direzione Generale per il personale militare, chiedendo l’adozione di idonee misure cautelari nelle more della decisione di merito.
LA SENTENZA DEL TAR
IL MINISTERO DELLA DIFESA HA PROPOSTO APPELLO
L’Appuntato in appello, ha evidenziato l’inesistenza nell’ambito del regolamento sulle uniformi di un espresso divieto di applicazione di tatuaggi, introducendosi una mera dissuasione giustificata da motivi di salute. A conferma di ciò militerebbe sia la nota del 10 dicembre 2003 del Sottocapo di Stato Maggiore dell’Ufficio legislazione del Comando generale dell’Arma dei carabinieri che la circolare n. 79/4-4-2017 dell’11 ottobre 2017 emanata dal Comandante della Divisione Unità Mobili Carabinieri. Peraltro, nel caso di specie non potrebbero trovare applicazione le disposizioni in materia di reclutamento, pena la violazione del principio di tassatività delle sanzioni disciplinari.
LA DECISIONE DEL CONSIGLIO DI STATO
Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso del Ministero della Difesa confermando la sanzione per il carabiniere.
Il Collegio ha rilevato che i fatti oggetto della contestazione disciplinare avverso il militare ricorrente, fondanti il provvedimento di perdita del grado, sono i seguenti:
- i) l’essersi presentato in uniforme di servizio estivo (camicia turchese), mostrando, su entrambi gli avambracci, tatuaggi particolarmente vistosi e di notevoli dimensioni;
- ii) l’essere stata pubblicata sulla piattaforma di un noto social networkla foto in uniforme del citato militare, con visibili i suddetti tatuaggi.
Con specifico riferimento alla pratica dei tatuaggi, nell’ambito della normativa relativa all’Arma dei Carabinieri, rileva in primo luogo la disciplina sul reclutamento, ove, è previsto che “i tatuaggi e le altre permanenti alterazioni volontarie dell’aspetto fisico non conseguenti a interventi di natura comunque sanitaria, se lesivi del decoro dell’uniforme o della dignità della condizione del militare di cui al regolamento, costituiscono causa di esclusione dal concorso secondo quanto stabilito dal bando”.
Da tale disposizione si rinviene pertanto che la presenza di tatuaggi che, per dimensioni, contenuto o natura, siano contrari al decoro dell’Istituzione ovvero alla dignità della condizione del militare costituisce causa di non idoneità ai fini dell’arruolamento nell’Arma, ciò in quanto secondo il legislatore l’aspetto esteriore del militare deve essere decoroso, come richiede la dignità della sua condizione.
In secondo luogo, rileva il “Regolamento sulle uniformi per l’Arma dei Carabinieri” il quale reca testualmente con riferimento ai tatuaggi che: “In linea di principio, si scoraggia il personale militare dal farsi applicare tatuaggi di qualsiasi tipologia, per i rischi che tale pratica comporta per la salute. La consapevolezza e la ormai diffusa conoscenza dei possibili rischi associati a queste abitudini, che possono causare vere e proprie patologie, devono, di per sé, dissuadere il militare dal porle in essere al fine di non compromette la propria efficienza fisica. Ferma restando la soggettiva responsabilità discendente da quanto sopra riportato, i militari in uniforme non possono esibire tatuaggi”.
Il regolamento, pertanto, se, per un verso, si limita a scoraggiare il personale dall’applicazione di tatuaggi, per i connessi rischi alla salute, per altro verso, pone un chiaro divieto di esibizione degli stessi, in tal modo implicitamente evidenziando l’esigenza che l’aspetto esteriore del militare debba essere tale da consentire il corretto uso dei capi di equipaggiamento previsti, senza al riguardo fare distinzione tra l’uniforme estiva e l’uniforme invernale. Peraltro, tale divieto, secondo una lettura più ampia, potrebbe involgere anche qualsiasi altro comportamento che, sebbene tenuto al di fuori della prestazione del servizio di istituto, si contraddistingua per l’ostentazione del tatuaggio senza alcuna valida motivazione.
Il Collegio ha inoltre rilevato che la presenza di tatuaggi, nel momento in cui impedisce l’arruolamento costituendo – stante l’inidoneità al servizio – giusta causa di esclusione dal concorso, non può coerentemente trovare tolleranza nella quotidiana prestazione del servizio di istituto. La scelta del legislatore di non conciliabilità, già operata in astratto nel momento del reclutamento, non può che trovare conferma quando il militare, già arruolato, presta servizio indossando l’uniforme.
Pertanto, seguendo il condivisibile ragionamento sviluppato dall’Amministrazione appellante, se la presenza di tatuaggi costituisce causa di inidoneità per l’arruolamento, a fortiori può determinare l’impossibilità di prosecuzione del rapporto lavorativo, causando la rimozione del grado.
Del resto, le disposizioni in materia di arruolamento, nel porre, ai fini della valutazione della gravità dell’incisione del tatuaggio, il criterio della lesività del decoro dell’uniforme o della dignità della condizione del militare pongono un parametro a valenza generale, utilizzabile anche come metro di valutazione della rilevanza disciplinare di tale condotta. Non risulta pertanto irragionevole il giudizio svolto nel caso di specie dall’Amministrazione, nel ritenere che i tatuaggi presenti sugli avambracci del militare, per le dimensioni e il contenuto, esprimessero sentimenti, intenzioni o messaggi incompatibili con il giuramento prestato o con il rapporto fiduciario intercorrente con l’Amministrazione.
Assumono pertanto valenza ampiamente discrezionale le valutazioni, che competono esclusivamente all’autorità disciplinare, circa l’opportunità del singolo tatuaggio, la lesività del suo contenuto per il decoro e il prestigio dell’Arma o comunque la sua incompatibilità con il giuramento, così come di natura discrezionale è l’ulteriore attività di graduazione della sanzione, e quindi di determinazione della punizione in maniera proporzionale all’offesa.
Del resto, tali considerazioni – ha sottolineato il Consiglio di Stato – non sono superate dalle affermazioni del primo giudice in ordine alla mancata valutazione da parte dell’Amministrazione della possibilità di un diverso utilizzo del ricorrente presso unità ove si esercitano mansioni utilizzando l’uniforme a maniche lunghe, non potendo l’Amministrazione essere condizionata nelle proprie scelte organizzative da una decisione arbitraria di un dipendente.
Così come, è comprensibile la tesi dell’Amministrazione di ritenere inapplicabile una sanzione disciplinare alternativa alla rimozione del grado, considerato che l’illecito che ne ha giustificato l’irrogazione permarrebbe per il prosieguo del rapporto di servizio, del resto non potendo essere imposto l’esercizio di pratiche di rimozione dei tatuaggi, stante l’incoercibilità di atti di disposizione del proprio corpo ex art. 5 c.c.