“Ci marchiano come il bestiame”. Polizia in tumulto contro il Pd
La proposta di legge: codici identificativi sui caschi degli agenti. I sindacati: “Pericoloso”. La Lega: “Pd li tratta da delinquenti”. La proposta di legge del Pd prosegue il suo corso, approda in Commissione alla Camera, poi forse arriverà in Aula. Ma l’idea di ritrovarsi con dei codici identificativi su casco e divisa non piace per nulla ai poliziotti. Anzi. Lo considerano un “pericolo” in un “momento storico” in cui gli agenti sono sempre più esposti alle aggressioni.
Prima i fatti. Il pdl è stato partorito da Giuditta Pini, onorevole esponente del Partito Democratico. La legge di cinque articoli prevede che i poliziotti debbano portare su casco, gilet tattico e uniforme un “codice alfanumerico che consenta l’identificazione dell’operatore che lo indossa”. L’obiettivo è quello di adeguarsi di “strumenti per la tutela dei cittadini” contro “eventuali abusi del diritto che occasionalmente si potrebbero verificare”. Cioè permettere ai manifestanti di denunciare gli agenti. Per addolcire la pillola, la proposta prevede anche di disporre le divise di una bodycam per registrare gli scontri di piazza. La seconda parte del testo trova il consenso di buona parte degli operatori di polizia e carabinieri, ma la “schedatura” è vista con forte avversione.
“È assurdo che proprio in questo momento storico, di vera ecatombe fra gli appartenenti alle Forze dell’ordine, il meglio che si riesca a proporre è di marchiare gli agenti come capi di bestiame, anche se in effetti vengono mandati al macello durante le manifestazioni”, attacca Valter Mazzetti, segretario generale dell’Fsp. Sulla stessa linea anche Domenico Pianese, segretario generale del Coisp: “È una vergogna: i nostri agenti non sono da schedare e monitorare con sospetto”. Mentre Andrea Cecchini, di Italia Celere, sottolinea come in piazza al fianco delle divise la scorsa settimana non sia sceso nessun parlamentare della maggioranza giallorossa: “Noi chiediamo tutele e regole d’ingaggio e loro, dopo il reato di tortura, vogliono marchiarci per renderci inermi e assicurare impunità ai violenti”.
Quello che stupisce è che “alle doglianze della politica quando i nostri colleghi perdono la vita durante il servizio, seguano fatti che vanno nella direzione diametralmente opposta alla doverosa tutela delle donne e degli uomini in divisa”. In fondo ogni anno 4mila operatori vengono feriti in servizio. C’è anche chi muore. La mossa dem ha scatenato anche la polemica politica. L’ex sottosegretario leghista Nicola Molteni si chiera con le divise e promette battaglia in Parlamento: “È necessario schedare i delinquenti, non chi rischia la vita per difendere gli italiani”.
A ben vedere, gli identificativi sono un vecchio cavallo di battaglia sia del Pd che del M5S, che in più occasioni hanno cercato di infilare emendamenti nelle leggi sulla sicurezza nazionale. Priorità di una “politica ipocrita e miope”. “Così si nega la realtà – attacca Mazzetti – i criminali sono altri”. L’equivoco è assurdo e forse anche dannoso. “Rendere donne e uomini riconoscibili significa esporli a un ulteriore grave pericolo – continua il segretario dell’Fsp – Le Forze dell’ordine accudiscono con eccezionale professionalità una media di 12mila manifestazioni all’anno, eppure assurgono alle cronache per incidenti solo quelle in cui agisce parte di quel mondo antagonista fatta da professionisti della criminalità di piazza che hanno come bersaglio chi veste l’uniforme”.
Redazione a cura di Giuseppe De Lorenzo per il Giornale.it