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Cassazione: la cella telefonica non fa prova senza ulteriori elementi di riscontro

La Cassazione ha annullato – con rinvio – la sentenza di condanna di un uomo accusato di concorso in omicidio per il presunto sopralluogo effettuato nei pressi dall’abitazione scelta per la rapina, sfociata poi in tragedia, condotta dedotta dal mero fatto che il suo cellulare avesse agganciato la cella telefonica di zona.

La Corte d’Assise di appello di Venezia confermava la condanna inflitta ad alcuni imputati per concorso nei reati di rapina aggravata e omicidio preterintenzionale. La difesa ha proposto ricorso per cassazione dolendosi per aver i giudici di merito ritenuto responsabile l’imputato nonostante la sua assenza al momento della rapina. La condanna si fondava infatti sul ritenuto sopralluogo che l’uomo aveva effettuato nei pressi dell’abitazione individuata come bersaglio, la cui dimostrazione era dedotta dal mero aggancio della sua utenza telefonica alla cella di zona, in assenza di ulteriori elementi.

Il ricorso per la Suprema Corte è risultato fondato. La motivazione offerta dalla pronuncia impugnata risulta infatti apodittica. Ricorda il Collegio che «è massima di esperienza che ogni apparato telefonico mobile emette una frequenza che consente allo stesso di collegarsi alla cd. cella più vicina quando vi è traffico telefonico in atto. Ogni cella si riferisce a una determinata porzione di territorio, entro la quale è collocata un’antenna capace di recepire il segnale del telefono che si venga a trovare in sua prossimità. Poiché il segnale è ricevuto con intensità diversa a seconda della vicinanza a una cella o a un’altra, è possibile stabilire soltanto con una certa approssimazione la posizione del telefono che emette il segnale. Poiché, dunque, l’apparato radiomobile che aggancia una determinata cella può trovarsi in tutti i punti del territorio che ricadono all’interno di essa, la possibilità di identificare la sua posizione è strettamente collegata alla superficie di copertura della cella stessa: in altri termini, la precisione è maggiore se la cella è piccola (cella urbana), minore, se si tratta di una macrocella, tipica degli ambienti extraurbani. A ciò dovendosi aggiungere che, in particolari condizioni di sovraccarico telefonico, è ben possibile che l’apparato telefonico mobile agganci una cella contigua alla porzione di territorio in cui si trovi, che risulti più libera. La conclusione cui giunge la Corte di cassazione è che le indicazioni fornite dal segnale captato dalla cella non consentono l’esatta localizzazione dell’utenza abbinata ad un apparecchio telefonico mobile, sussistendo margini di errore anche di centinaia di metri, se non di chilometri.

La necessità di altri elementi di riscontro

Sulla base di tali premesse, la sentenza afferma che, pertanto, il giudice, per poter affermare che l’imputato, nei due o tre minuti in cui la sua utenza telefonica aveva agganciato la cella, avesse compiuto un sopralluogo presso la dimora delle vittime avrebbe dovuto motivare nel modo seguente. Anzitutto il giudice avrebbe dovuto indicare a sostegno elementi specifici atti a comprovare non solo la presenza fisica dell’imputato nell’area della cella – dal momento che l’utenza ben avrebbe potuto essere detenuta da altri -, ma anche – una volta verificata la detta presenza fisica – quale fosse la sua precisa posizione all’interno del territorio coperto dalla stessa in rapporto all’ubicazione della casa successivamente fatta oggetto dell’azione predatoria. Inoltre, il giudice medesimo avrebbe dovuto dar conto, tramite il riferimento ad elementi oggettivi, delle ragioni per le quali avesse interpretato il registrato breve passaggio dell’apparecchio telefonico dell’imputato per la cella come un sopralluogo, ad esempio spiegando se i partecipanti alla spedizione avessero già scelto il bersaglio e si fossero recati in prossimità di esso solo per mettere a punto i dettagli.

Poiché tale iter logico difetta del tutto nella motivazione, la suprema Corte, sulla base dei summenzionati principi di diritto, ha annullato la sentenza di condanna con rinvio alla Corte d’appello.

Conclusioni

La pronuncia annotata si caratterizza per il rispetto dei criteri di accertamento della responsabilità dell’imputato. A fronte di una giurisprudenza che troppo spesso si affida alla localizzazione tramite tracciamento telefonico (c.d. positioning), considerandola una prova certa e inequivocabile e talvolta l’unica, la sentenza in commento si mostra correttamente assai rigorosa. Essa precisa anzitutto l’approssimazione di tale localizazione e, di conseguenza, esige la presenza di altri elementi che dimostrino che il portatore del dispositivo era proprio l’imputato, e non altri; inoltre ritiene necessaria l’indicazione della sua precisa posizione sul territorio rispetto al luogo del reato; infine la Corte di cassazione richiede una motivazione che, sulla base di elementi oggettivi, spieghi le ragioni per le quali il giudice interpreta come un sopralluogo il registrato breve passaggio dell’apparecchio telefonico dell’imputato nell’ambito della cella telefonica.

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