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Carabinieri, Tenente Colonnello escluso dall’avanzamento: Consiglio di Stato bacchetta l’Arma “Eccesso di potere e punteggio irrazionale”. Ministero condannato a 6mila euro di spese di giudizio

Il ricorrente, Ten Col. dell’Arma dei Carabinieri, impugnava, innanzi al TAR Lazio, la mancata promozione nel 2013 al grado di Colonnello. Era stato giudicato idoneo all’avanzamento ma a causa del punto di merito espresso in trentesimi attribuitogli (26,42), risultava collocato al 62° posto della graduatoria di merito compilata per l’anno 2013 e, conseguentemente non iscritto nel quadro di avanzamento a scelta formato per il predetto anno.

In primo grado l’appellante, denunciando il vizio di eccesso di potere in senso relativo che avrebbe inficiato il giudizio espresso dalla Commissione di avanzamento, aveva rivendicato la determinante prevalenza dei suoi titoli rispetto ai parigrado, promossi, individuati come parametro di riferimento. Secondo il ricorrente, infatti, il punteggio attribuito risulta in manifesto contrasto con i suoi precedenti di carriera e con gli altri titoli, qualità e dati che costituiscono criteri di valutazione.

Ufficiale dell’Arma escluso dall’avanzamento. “Curriculum dei promossi sopravvalutato”, il TAR ordina una nuova valutazione

LA SENTENZA DEL TAR

Il TAR Lazio, rigettando il ricorso, sottolineò che ripercorrendo i vari profili della valutazione l’unico aspetto che emergeva rispetto ai colleghi del ricorrente era la maggiore durata dei periodi comando presso reparti territoriali, ma questo per il TAR non poteva “essere considerato un elemento decisivo dal momento che due dei colleghi presi a termine di paragone” hanno prestato servizio presso il Comando Generale ed avere esperienza dei comandi di vertice dell’Arma.

In conclusione – secondo il TAR Lazio in una sentenza giunta nel 2018 – non si ravvisano quegli elementi di illogicità nell’attribuzione del punteggio finale ai fini dell’inserimento o meno nel quadro di avanzamento che possa giustificare un annullamento della valutazione compiuta nei confronti del ricorrente.

APPELLO AL CONSIGLIO DI STATO

L’appellante critica la decisione di prime cure per aver omesso di prendere in considerazione una pluralità di elementi rivelatori della incongruità dei punteggi assegnati ai suoi parigrado rispetto a quelli che gli erano stati attribuiti, in tesi manifestamente più riduttivi, e ripropone, perciò, le considerazioni svolte in primo grado con riferimento a ciascuno dei quattro complessi di elementi che formano oggetto di valutazione nella procedura di avanzamento a scelta degli ufficiali (art. 1058 cod. ord. mil.: qualità morali, di carattere e fisiche; benemerenze e qualità professionali dimostrate durante la carriera; doti intellettuali e di cultura; attitudine ad assumere incarichi nel grado), in ognuno dei quali avrebbe superato i colleghi che, intimati in giudizio, sono stati collocati in posizione poziore.

Come espone in termini riassuntivi in sede di replica, i suoi titoli culturali e di servizio, unitamente ai giudizi apicali complessivamente superiori e alle attitudini a rivestire il grado superiore emerse nel dispiegamento di una molteplicità di incarichi corrispondenti anche a gradi dirigenziali, evidenzierebbero un’innegabile rottura del metro di giudizio.

Emergono – sottolinea il Consiglio di Stato – profili che avvalorano in modo decisivo la tesi che tale risultato sia dipeso da una valutazione caratterizzata da eccesso di potere in senso relativo, vizio che, per giurisprudenza consolidata, ricorre allorché il confronto tra giudizi espressi sui singoli candidati riveli in modo evidente e immediatamente percepibile una difformità dei criteri di valutazione che, in presenza di situazioni analoghe, se non identiche, abbia portato all’attribuzione di punteggi differenti, ovvero a valutazioni meno favorevoli pur in presenza di risultati di carriera migliori, palesando irrazionalità nell’assegnazione del punteggio tali da non richiedere analisi dettagliate e volte a cogliere singoli particolari di differenza, ma che risaltano per macroscopica evidenza e fanno emergere, con assoluta immediatezza, la violazione delle regole di tendenziale uniformità del criterio di giudizio.

Anzitutto, per quanto riguarda le qualità morali, di carattere e fisiche, è incontestato che l’appellante, nel corso dell’intera carriera, abbia ricevuto le più alte aggettivazioni interne per le qualità fisiche.

Nonostante ciò, per le qualità morali, di carattere e fisiche entrambi i colleghi (citati dal ricorrente) hanno ottenuto una valutazione di oltre mezzo punto superiore rispetto all’appellante: e, se è vero che per l’art. 703, co. 1, del D.P.R. 15 marzo 2010, n. 90, per ciascuna delle quattro categorie di requisiti previste dall’art. 1058 cod. ord. mil., i punteggi di merito attribuiti “devono costituire … l’espressione di una valutazione di sintesi da parte di ciascun componente della commissione e non la somma di punteggi parziali assegnati per ogni elemento nell’ambito della categoria medesima”, non è dato comprendere – in difetto di qualsivoglia difesa dell’Amministrazione sul punto, limitatasi alla invocazione di un principio di globalità della valutazione, sia nel primo che nel secondo grado del giudizio – in che modo la valutazione delle qualità morali e di carattere, espressa della Commissione di avanzamento, con varietà di aggettivi dei quali la gradazione non può darsi per nota, abbia potuto determinare la suddetta significativa differenza di punteggio.

Né può andare inosservato il fatto che, per quanto riguarda le qualità professionali, l’Amministrazione, nel sostenere che l’appellante avrebbe avuto un rendimento complessivamente meno elevato rispetto agli intimati, abbia fatto leva sulla flessione di rendimento che sarebbe possibile evincere anche dall’oscillazione delle espressioni elogiative aggiunte alla qualifica finale quando l’appellante rivestiva il grado di Capitano, tacendo invece delle effettive flessioni di giudizio registrate per i suoi colleghi negli stessi specchi riepilogativi contenuti nelle memorie del Ministero e in questo modo avvalorando, anche sotto tale profilo, la tesi della rottura dell’omogeneità del metro di giudizio.

Il Consiglio di Stato ha quindi accolto il ricorso del Tenente Colonnello, condannando il Ministero della difesa al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese del doppio grado del giudizio, liquidate nella somma complessiva di euro 6.000,00 oltre spese generali e accessori di legge.

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