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Carabinieri, poliziotti, finanzieri: un suicidio ogni sei giorni. Il fenomeno di cui nessuno parla

(di Milena Gabanelli per il Corriere della Sera) – 14 marzo 2024, un brigadiere capo dei carabinieri forestali di Cuneo si toglie la vita con la pistola d’ordinanza. 4 marzo, in provincia di Avellino si uccide un agente delle Penitenziaria. 27 febbraio, un finanziere si lancia dal decimo piano dell’ospedale di Chieti. 26 febbraio, una poliziotta si spara negli alloggi di servizio del commissariato di Rosignano. 24 febbraio, a Cosenza si suicida un assistente capo della Penitenziaria. 21 febbraio, in provincia di Bologna una giovane vigilessa la fa finita negli spogliatoi del Comando. 26 gennaio, in provincia di Vicenza a togliersi la vita è un vicebrigadiere delle Fiamme gialle di 38 anni. 25 gennaio, un carabiniere di Merate muore qualche giorno dopo essersi sparato mentre si trovava nella casa della compagna. 21 gennaio, un agente del carcere di Bollate si uccide lanciandosi dal secondo piano di un centro commerciale a Milano. 8 gennaio, è la volta di un sottoufficiale della Marina Militare, di 46 anni. Queste sono le informazioni di cui si trova traccia nelle cronache locali, ma quanti sono realmente gli uomini e le donne in divisa che scelgono di farla finita? E perché?

L’Osservatorio voluto da Gabrielli

I Corpi di appartenenza in genere preferiscono tenere riservati questi dati o limitarne la diffusione a convegni e ambiti accademici per evitare allarmi e polemiche. Vanno però comunicati all’«Osservatorio permanente interforze sui suicidi tra gli appartenenti alle forze di polizia» voluto nel 2019 dal prefetto Franco Gabrielli. È da qui che, per la prima volta, si può fare una comparazione ufficiale e si scopre che negli ultimi cinque anni i suicidi tra poliziotti, carabinieri, finanzieri e agenti penitenziari sono stati 207. E la conta sale a 275 se ci aggiungiamo la polizia locale e gli altri appartenenti alle Forze Armate. In media uno ogni sei giorni.

Le forze armate

La situazione più grave si registra tra i carabinieri: 108 mila tra uomini e donne che fanno riferimento al ministero della Difesa. Dal gennaio 2019 a dicembre 2023 in 78 si sono tolti la vita. Nove solo lo scorso anno. Dalla relazione inviata alla Commissione Difesa del Parlamento, emerge che i suicidi sono la seconda causa di morte, dopo le malattie e più degli incidenti stradali. Dentro alle altre Forze Armate invece i casi sono più sporadici: in cinque anni 25 suicidi nell’Esercito, 12 nella Marina e 6 nell’Aeronautica.

Poliziotti, guardie e finanzieri

Nella Polizia di Stato, 98mila unità alle dipendenze del ministero dell’Interno, negli ultimi cinque anni si contano 75 gesti estremi. Sedici solo nel 2023. Tra gli agenti della Polizia Penitenziaria – 38mila unità che fanno riferimento al ministero della Giustizia – i suicidi sono stati 26 (un episodio nel 2023); mentre nelle Fiamme Gialle – 60mila tra uomini e donne dipendenti del ministero dell’Economia – dal 2019 si sono uccisi in 28. Due lo scorso anno.

La polizia locale

Infine, i vigili urbani. Si stima siano 49mila quelli in servizio per conto dei 7.896 Comuni italiani. Nonostante lo chiedano da tempo, non fanno parte dell’Osservatorio del ministero dell’Interno e quindi gli unici dati sono quelli – non ufficiali e quindi per difetto – raccolti dalla ong Cerchio blu: 25 suicidi in cinque anni. Tre quelli registrati nel 2023.

Il confronto con i comuni cittadini

In Italia ci sono 7 suicidi ogni centomila abitanti dai 15 anni in su, che sale a 11 tra i maschi. Uno studio Istat commissionato dal Ministero dell’Interno e finora mai pubblicato, fa un paragone che tiene conto delle giuste proporzioni in termini di età, sesso, e di variazione degli organici: emerge che i suicidi sono, a seconda del Corpo di appartenenza, tra il 13% (per la Polizia) e il 70% in rispetto alla popolazione civile, con una media complessiva del 23%.

I motivi e la dinamica

Uno studio pubblicato dalla Rivista di Psichiatria, condotto da ricercatori del Dipartimento di pubblica sicurezza in collaborazione con i colleghi di diverse università italiane, dice che i principali fattori scatenanti riconducono a problemi personali e familiari (39%), o all’insorgere di disturbi fisici o psichici (14%). I gesti estremi esclusivamente collegabili al lavoro sono appena l’1,48%. E allora, si chiedono gli studiosi, perché tutti questi suicidi considerando che le reclute – a differenza dei normali cittadini – vengono pure sottoposte a uno screening psicologico per verificarne l’idoneità lavorativa? In realtà – sostengono gli esperti – è una professione totalizzante: la lontananza dalla famiglia, i ritmi, lo stress, incidono anche sulla vita privata e possono indurre la «sindrome da burn out». Aggravata dal contatto continuo con drammi umani e criminali, che spinge i soggetti a mettere un muro tra sé e gli altri. Però quando arrivano i problemi personali, si ritrovano soli davanti a quel muro. Inoltre l’ambiente delle caserme è piuttosto duro: nelle Forze Armate nel 2022 ci sono state 23 condanne per minacce e insulti a un collega e 11 per violenza; negli ultimi cinque anni sono stati segnalati 33 casi di molestie sessuali, 7 di mobbing e 7 di stalking.

Omicidi-suicidi

C’è un fattore che aumenta il rischio in modo esponenziale: le forze di polizia hanno sempre l’arma a disposizione, anche a casa. E infatti l’82% dei suicidi avviene con la pistola d’ordinanza. Se in genere il 95% dei tentativi di suicidio fallisce, un proiettile quasi mai lascia scampo, e questo vale anche per chi gli sta intorno. Dal 2019 in sette casi l’agente si è tolto la vita dopo aver sparato ad altri, in genere familiari o colleghi.

Cosa si sta facendo

Per molto tempo il problema è stato sottovalutato, se non addirittura nascosto quasi fosse un’onta. Su spinta dell’Osservatorio e dei sindacati, negli ultimi anni le forze di polizia hanno finalmente iniziato ad alzare i livelli di screening nella selezione e attivato campagne di prevenzione, tavoli tecnici contro il disagio, progetti di monitoraggio e, soprattutto, task force di esperti che assicurano sostegno anche a distanza e in forma anonima. I carabinieri si preparano ad arruolare altri 12 psicologi, la Polizia di Stato prevede di assumerne 50 (arrivando a 114) entro il 2027 e ha attivato il progetto «Una casa per papà» per accogliere gli agenti che, con i loro figli, stanno affrontando una separazione. La Gdf ha appena sperimentato in Lombardia e Calabria un progetto per facilitare la socializzazione dei neo-finanzieri, coinvolgendo i colleghi più anziani. E la polizia penitenziaria ha istituito un fondo da destinare, in modo strutturato e permanente, al supporto psicologico del personale.

Cosa si dovrebbe fare

Mentre in parlamento si discute se creare una commissione d’inchiesta sul fenomeno dei suicidi in divisa, il Comando generale dei carabinieri propone di introdurre una norma che permetta a medici e psicologi di sapere, semplicemente inserendo il nome, se il paziente con segni di grave disagio ha il porto d’armi, e nel caso di segnalarlo subito al questore, così da poter intervenire. Ma il ritiro dell’arma e della patente vuol dire non poter più lavorare, uno «stigma» che rischia di aggravare uno stato di fragilità, tant’è che a volte gli agenti non segnalano ai superiori le situazioni a rischio proprio per il timore di «mettere nei guai» il collega. Occorrerebbe modificare il regolamento, in modo che il soggetto in questione venga solo trasferito a ruoli non operativi, ma per ora l’unica ad averlo fatto, e solo di recente, è la Polizia di Stato. Secondo il dottor Fabrizio Ciprani, che coordina la Direzione centrale sanità del Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno, occorre lavorare sul cambio di mentalità per far comprendere agli agenti che non è richiesto apparire sempre come supereroi. La strada giusta per uscire dai tunnel che a volte si presentano nel corso della vita è proprio quella di riconoscere le proprie difficoltà confidandosi con i colleghi, e nel chiedere aiuto.

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