Carabiniere ammalato di tumore dopo le missioni ottiene risarcimento dal TAR
Una sentenza storica emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) della Liguria ha stabilito un importante precedente nel riconoscimento dei diritti dei militari italiani. Il caso riguarda un ex luogotenente dei carabinieri di Genova, il cui servizio in zone di guerra si è tragicamente trasformato in una lotta per la giustizia e la salute.
Dalle Missioni alla Battaglia Legale
Il militare, con due missioni all’estero alle spalle – una nel 1999 a Sarajevo, Bosnia, e l’altra nel 2004 a Nassiriya, Iraq – ha affrontato rischi enormi al servizio del proprio paese. Dodici anni dopo l’ultima missione, è stata diagnosticata una grave forma tumorale al pancreas, portando al suo congedo per inidoneità.
Nonostante la chiara correlazione con le sue missioni, il Comando generale dei carabinieri ha inizialmente negato il riconoscimento della malattia come causata dal servizio, nonché il conseguente indennizzo. Questo ha dato il via a una lunga battaglia legale, culminata con la recente sentenza del TAR della Liguria.
La Decisione del TAR:
Il TAR ha ribaltato la decisione del Comando Generale, riconoscendo che il militare è stato esposto a particolari rischi per la salute durante le sue missioni. L’esposizione a fattori chimici, tossici e radiologici, come l’uranio impoverito, è stata determinante nel giudizio. La giurisprudenza, in questo caso, ha considerato sufficiente tale esposizione per classificare la malattia come conseguenza del servizio.
La decisione implica che il caso debba essere riconsiderato dall’Arma, con l’eventualità di un secondo rifiuto che potrebbe portare alla nomina di un commissario ad acta. I giudici del Tar, nella sentenza emessa venerdì, hanno ricordato come SPETTI ALL’ARMA (e in generale alle amministrazioni cui appartengono militari e agenti che chiedano di accedere agli indennizzi) dimostrare che la causa della patologia non è legata al servizio prestato. E in questo caso il Comando generale, scrivono i giudici amministrativi, «NON HA FORNITO ALCUNA PROVA CONTRARIA sulle cause della malattia contratta dal ricorrente». Non solo, perché proprio il Comando aveva certificato che il luogotenente era stato «esposto, nel corso del servizio, a particolari fattori CHIMICI, TOSSICI E RADIOLOGICI DAL POSSIBILE EFFETTO PATOGENO, in condizioni di comprovato danno potenziale per la salute», si legge nella sentenza.
Ma il Comitato di verifica per le cause di servizio, organo che si occupa di istruire le richieste di indennizzi come questa, aveva ritenuto «IRRILEVANTI» QUEI SERVIZI all’estero in termini di fattori che avevano dato il via alla crescita delle cellule tumorali: «Non risultano fattori specifici potenzialmente idonei a dar luogo a una genesi neoplastica», aveva scritto il Comitato nel suo parere. Un’affermazione che, per il Tar della Liguria, NON RAPPRESENTA IN ALCUN MODO LA PROVA contraria richiesta per negare l’indennizzo a chi ha servito lo Stato in un teatro di guerra potenzialmente contaminato. I giudici, nell’introduzione del loro provvedimento, hanno ricordato come il luogotenente avesse lavorato a Sarajevo, dove aveva effettuato ispezioni esterne, perlustrando «zone interessate dal conflitto in cui sono caduti proiettili deflagranti». Capaci di liberare nell’aria sostanze potenzialmente nocive. E che a Nassiriya, nella seconda guerra del Golfo, aveva visitato aree «contaminate con residui di esplosioni, anche DI PROIETTILI ALL’URANIO IMPOVERITO, e forti venti desertici che, unitamente all’aridità della zona, trasportavano le micro-particelle contaminate facilitandone l’inalazione». Per l’ex militare si tratta della seconda battaglia legale vinta. Dopo che sempre quest’anno la sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per la Liguria, in seguito a una consulenza tecnica, gli ha riconosciuto la PENSIONE PRIVILEGIATA PER LA STESSA PATOLOGIA.
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