CAPORAL MAGGIORE ALPINA RACCONTA COME STA CAMBIANDO LA VITA MILITARE PER LE DONNE
l’ennesima dimostrazione che nell’esercito non esistono più differenze di
genere».
di origine marocchina ma biellese da quando aveva un anno, è una testimonianza dell’aria
nuova che si respira nelle caserme italiane.
Difesa, ha saputo a Lampedusa, lontana dal suo reparto, il Terzo Reggimento
Alpini di Pinerolo, dove è impegnata come mediatore culturale per accogliere i
migranti che arrivano a centinaia, marea di umana disperazione che
approda dal Mediterraneo alla ricerca di sogni e di salvezza. Un delicato ruolo
di ponte tra due culture, nel quale si è distinta grazie alle sue origini, al
suo background culturale, alla conosceva della lingua araba e per la sua
capacità di entrare immediatamente in contatto con i migranti per rendere meno
traumatico l’impatto con la loro nuova realtà.
competenza maschile, ma che il Caporal maggiore Boufessas, rigorosa e
sensibile, molto orgogliosa di essere italiana e soprattutto di essere
un’alpina, ricopre con professionalità e naturalezza. Per lei le pari
opportunità sono un dato di fatto.
Una bella responsabilità, ma anche una bella soddisfazione: come la fa
sentire?
«Fiera di servire la mia patria. Come tutte le altre donne che fanno questo
mestiere. E’ un esperienza che mi arricchisce molto: i migranti, che arrivano
spaventati e smarriti, si confidano con me, mi parlano dell’esperienza che
hanno vissuto, di quello che hanno lasciato, dei loro progetti per il futuro.».
Nella sua caserma quante siete?
«Circa 40, un quarto dei militari del mio reparto. Tra noi sono nate grandi
amicizie: ci frequentiamo anche fuori, facciano shopping, andiano a ballare.
Abbiamo pure organizzato un corso di ballo latino americano».
L’8 marzo in caserma si festeggia?
«Non facciamo una vera festa, però il comandante convoca noi soldatesse e ci
regala le mimose. Per me è comunque una ricorrenza importante: un
riconoscimento per le tante donne che hanno lottato per i loro diritti».
«No. Nell’esercito oggi conta solo il merito. Ci sono le stesse prospettive di
carriera, lo stesso stipendio a parità di grado». Certo, bisogna avere un
carattere forte, grande senso del dovere, responsabilità, autocontrollo.
Sta dicendo che proprio il mestiere considerato tradizionalmente più
«maschile» è quello dove invece si è raggiunta la vera parità?
«È così. In caserma mi sono sentita subito parte della famiglia degli alpini:
non c’è competizione, distinzione di sesso all’interno del proprio plotone. È
come un unico corpo».
Mai una battuta da caserma?
succede in tutti gli ambienti di lavoro e senza mai mancarmi di rispetto. I
momenti difficili li ho superati con l’entusiasmo e grazie allo spirito di
solidarietà tra colleghi».
Perché ha scelto di diventare alpino?
«Sono cresciuta a Biella, tra le montagne, e sono sempre stata attratta dalla
divisa. Mi ritengo fortunata perché sono finita vicino a casa: nell’esercito si
può scegliere il corpo a cui appartenere ma non la destinazione».
«Quando sono con il mio reparto, in Val di Susa, nell’ambito dell’operazione
Strade sicure svolgo attività di sorveglianza nelle zone sensibili, come il
cantiere della Tav».
Cosa ne pensano le sue amiche non militari della sua scelta di arruolarsi?
essere un alpino».
militare? Ci sono mamme tra le sue colleghe?
«Certamente, abbiano un buon orario di lavoro, i week-end liberi, giorni di
licenza. Alcune colleghe del mio reparto sono diventate mamme da poco».
creare una famiglia».

 
			