Editoriale

CAPITANO MORTO A KABUL, IL PADRE: «COINVOLTI “ALTI PAPAVERI” ESERCITO»

«Nel libro che ho scritto mi è stato consigliato di non mettere i nomi e i cognomi degli “alti papaveri” militari che secondo me sono coinvolti nella morte di mio figlio Marco». Così, in un articolo di Antonio Andreotti sull’edizone di Padova e Rovigo del Corriere del Veneto, Marino Callegaro, il padre del capitano polesano dell’esercito italiano trovato misteriosamente morto nel suo ufficio all’aeroporto di Kabul nella notte tra il 24 e il 25 luglio del 2010.

Sulla morte del militare, avvenuta con un colpo di pistola, si era fatta l’ipotesi del suicidio che però non è mai stata riconosciuta dai famigliari. Il libro di Callegaro s’intitola “8.40” (Youcanprint, 11 euro) e riguarda la presunta truffa sulle blindature dei veicoli civili per la missione in Afghanistan. Callegaro dice di avere i nomi degli alti vertici militari responsabili della morte del figlio ma di essere stato consigliato dal suo avvocato a non rivelarli per evitare pesanti querele. Il libro è stato così “ridotto” ad una versione più “soft” riguardante la vita di Marco e della sua famiglia.

Sulla vicenda che starebbe dietro la morte, quanto mai sospetta, di Marco Callegaro il 17 luglio prossimo comincia un processo al tribunale militare di Roma. Imputati sono cinque ufficiali coinvolti in una presunta truffa sulla blindatura – più leggera (e meno cara, ma pagata comunque di più dall’Esercito italiano) di quella pattuita – dei veicoli civili sui quali hanno viaggiato dal 2009 al 2014 ministri, ambasciatori politici e militari di vertice in visita al contingente italiano in Afghanistan. A complicare di più il quadro il suicidio di un sesto imputato. Lo scorso 6 aprile si è tolto la vita il colonnello Antonio Muscogiuri.

 

Nel mirino dell’inchiesta anche una lettera sparita in un misterioso furto a casa Callegaro: nella missiva spedita dall’Afghanistan, il capitano parlava alla famiglia dei suoi dissidi con tre ufficiali sulla contabilità amministrativa generale del Comando “Italfor Kabul” di cui Marco Callegaro stesso era capo-cellula.

 

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