Capitano dei carabinieri accusata di peculato. “Mai preso soldi e gioielli sequestrati”
Un episodio privato e certamente doloroso da rivangare, ma che è diventato cruciale per la Procura nel processo contro un capitano dell’Arma, ex comandante dei Carabinieri della caserma di Massa, accusata di peculato, per essersi presumibilmente impossessata di gioielli e monili d’oro, oggetto di varie attività investigative e sequestri.
«Ma ve lo immaginate la tenente dei carabinieri che comanda il nucleo operativo e radiomobile di Massa che sequestra i gioielli ai ricettatori del posto e poi va a venderli al Compro oro, davanti alla caserma della Plava dove è stata per sette anni, per intascarsi i soldi e fare la bella vita tra auto di lusso e vestiti firmati?”. L’avvocato Stefano Gomiero del foro di Padova, che difende la capitana dell’Arma Rosa Sciarrone, dall’accusa di peculato davanti al tribunale di Massa, è convinto di poter dimostrare l’assoluta innocenza dell’ufficiale, sospesa dal servizio da un anno e mezzo proprio per il processo a suo carico.
Il capitano – riporta il Tirreno – non si è mai persa un’udienza, da quando è cominciato il processo che la vede alla sbarra degli imputati. I suoi ex colleghi, quelli che lavoravano nel suo reparto, quelli che avevano accesso al suo ufficio, quelli che compilavano i verbali, o che la sostituivano quando era in licenza, li vuole guardare negli occhi, ad uno ad uno.
La procura le contesta il peculato per la sparizione di tre monili d’oro e 4.700 euro sequestrati nel corso di due distinte operazioni coordinate appunto dall’imputata. Lei stessa aveva reso dichiarazioni spontanee davanti al gup Baldasseroni dicendo di “non aver commessi i reati umilianti e ignobili che mi sono contestati. Arrivata a Massa, a 26 anni, mi sono buttata anima e cuore nelle indagini di polizia giudiziaria. Ho seguito di persona tutte le indagini e sono sempre stata sulla strada assieme ai miei carabinieri. Ho tralasciato, e questa è stata una mia colpa, l’attività burocratica e amministrativa del reparto, delegandola al mio vice, militare di grandissima esperienza”.
La vicenda nasce dal sequestro di 300 gioielli ad un massese, considerato un ricettatore che è stato assolto.
«Quando la procura ha disposto di restituire i gioielli all’uomo – ha spiegato la capitana al gup – se ne stavano occupando due carabinieri del reparto e mi hanno avvisata che mancavano dei monili. Ho avvertito l’allora capitano Caprio e il tenente colonnello Semeraro che era il comandante provinciale e nell’immediatezza io e un collega abbiamo avvisato per iscritto la procura. Per questo ammanco il capitano Caprio mi ha aperto un procedimento disciplinare che si è chiuso con la sanzione del richiamo. Un anno dopo quando la Corte di appello di Genova mi ha chiamato dicendomi che non era pervenuto il libretto di versamento al Fondo giustizia di 4.700 euro, relativi ad un altro sequestro, sono andata a cercare il verbale all’interno del fascicolo e non l’ho trovato; e allora mi sono ricordata di non averli versati e sono andata a vedere dove li avevo lasciati, in una scatola dentro la cassaforte del mio ufficio dove tenevo la droga e i preziosi sequestrati. Nella scatola c’era solo la cocaina e i soldi erano spariti. Sono stata presa dal panico proprio per la sanzione disciplinare di un anno prima e ho commesso il mio secondo grande errore, quello di confidarmi con una delle persone che in quel momento mi era più vicina che era la vedova Taibi (il maresciallo dell’Arma ucciso a Carrara dall’ex postino Roberto Vignozzi che sta scontando l’ergastolo ndr) che di sua spontanea volontà si è proposta di aiutarmi; e mi ha dato quei soldi. Io li ho versati così al Fondo giustizia; ovviamente ho poi restituito la somma alla vedova Taibi che mi aveva anticipato. Per quanto riguarda i Compro oro, ci sono stata a vendere degli oggetti ma appartenevano alla mia famiglia come è documentato”.
In aula la donna ricorda tutta la vicenda: era l’estate del 2013, il matrimonio avrebbe dovuto svolgersi a settembre e l’allora comandante dell’Arma, tra maggio e giugno, aveva già provato due volte il suo abito e pagato un acconto di 1.700 euro, su un totale di 2. 500, che però includeva anche trucco, estetista e acconciatura.
Quando ad agosto la titolare del negozio sentì le voci dell’annullamento del matrimonio – così racconta davanti al giudice Ermanno De Mattia – si mise in contatto con la sua cliente, chiedendole di saldare comunque il vestito e proponendole un accordo: uno sconto sulla cifra mancante, per poter conservare l’abito in atelier e cercare di rivenderlo. Secondo la donna l’ex comandante avrebbe dovuto firmare una scrittura privata in negozio, cosa che però non ha mai fatto. Secondo la difesa invece la Sciarrone non ebbe mai più notizie della titolare dell’atelier, a cui lasciò un vestito nuovo e già pagato totalmente, visto che la cifra mancante riguardava esclusivamente servizi di cui non avrebbe più usufruito. Hanno sfilato ieri mattina anche alcuni titolari di negozi Compro oro, da cui la Sciarrone aveva portato a vendere numerosi gioielli di sua proprietà: tra questi, però, nessuno ha riconosciuto i monili d’oro mancanti dalla cassaforte dell’Arma.
«Si presentava con regolare documento di identità – dicono in aula – e ha venduto gemelli, orecchini, collane, bracciali e anelli per un totale di 1. 290 euro. Fotografiamo tutti i pezzi e non abbiamo riconosciuto quelli mostratici in foto dalla guardia di finanza».
Articolo tratto da La Nazione ed il Tirreno