Aumento stipendio dei vertici militari: retromarcia del governo. Interviene Mattarella “norma inopportuna”
Anche il presidente Sergio Mattarella, stando ad ambienti parlamentari, parlando con il premier Mario Draghi ha espresso perplessità sulla norma del decreto Aiuti bis che ha abrogato per i capi delle Forza armate e di Polizia ma anche per gli alti burocrati ministeriali il tetto di 240mila euro agli stipendi. E’ quanto riporta il Fatto Quotidiano. Una norma “inopportuna“, secondo il capo dello Stato, in un momento in cui gli italiani stanno faticando per la crisi energetica. La notizia arriva dopo che il governo – che ieri aveva giocato allo scaricabarile con i partiti – ha fatto sapere di aver preparato un emendamento che fa marcia indietro e reintroduce il limite: sarà inserito nel dl Aiuti bis, ora in seconda lettura alla Camera, che tornerà in Aula al Senato martedì 20 settembre in terza lettura per il varo definitivo.
Tutto questo mentre rimane il giallo sulle origini del provvedimento. “C’è stato un guaio, non abbiamo capito per responsabilità di chi. Un guaio assoluto e totale, uno schiaffo. Lo cambieremo, andrà cambiato”, ha detto il segretario del Pd Enrico Letta prima che intervenisse il governo. Giuseppe Conte punta il dito proprio contro Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia che in aula hanno votato a favore di quella norma che definisce “vergognosa”. A fare un po’ di luce sui passaggi è il firmatario di quell’emendamento, il senatore Marco Perosino di Forza Italia. “Non è chiaro cosa sia successo al mio emendamento ha fatto il giro dei ministeri e poi è arrivata la riformulazione nelle commissioni riunite…”, spiega al Fatto Quotidiano il senatore Fi.
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Il testo originario prevedeva la deroga al tetto sugli stipendi solo per le forze di polizia, carabinieri e amministrazione penitenziaria. Poi però è arrivata la novità. Il ministero dell’Economia, guidato da Daniele Franco, lo ha inserito tra gli emendamenti da “riformulare” e nella riformulazione sono state inserite tutte le altre figure ministeriali: cioè i capi dipartimento dei ministeri, il segretario generale della presidenza del consiglio dei ministri e i segretari generali dei ministeri. Diventa pertanto difficile da decifrare quel “disappunto” fatto filtrare da Palazzo Chigi che, poche ore dopo l’approvazione in Aula, ha relegato la deroga a una “dinamica squisitamente parlamentare” e di intesa tra i partiti, provocando la reazione e le critiche di quasi tutti i soggetti politici, anche di Partito democratico e Italia viva, che in aula (insieme a Forza Italia) hanno votato a favore. Astenuti Fratelli d’Italia, Movimento 5 stelle e Lega.