Afghanistan, la ministra Trenta irremovibile: «Siamo lì da 17 anni, con 54 caduti, e speso 7 miliardi di euro»
L’intervista a cura di Fiorenza Sarzanini per Il corriere della Sera. La linea non cambia «perché ho agito secondo le mie prerogative, informando chi di dovere». La ministra della Difesa Elisabetta Trenta conferma l’avvio della procedura e risponde così alle polemiche sull’annuncio del ritiro dei militari dall’Afghanistan.
Non era opportuno aspettare?
«No, perché è stato deciso di valutare l’avvio di una pianificazione per il ritiro, alla luce delle notizie che giungono da oltreoceano. D’altronde sarebbe stato irresponsabile non farlo».
Quanto tempo ci vorrà?
«I tempi sono tecnici e competono al Comando interforze, ma sa cosa mi sorprende? Che persino una missione militare, in Italia, riesca ad essere trasformata in un tabù. Siamo lì da 17 anni, abbiamo avuto 54 morti, speso quasi 7 miliardi di euro, il nostro contributo è stato notevole ma ora c’è una evoluzione in corso, si va verso un’intesa, che mi auguro arriverà, e noi come Paese ne prendiamo atto».
Secondo la Nato la discussione è ancora in corso.
«Le dichiarazioni di Stoltenberg sono indicative. Il segretario generale ha risposto a domande sulla situazione generale, non parlava certo dell’Italia, e ciò dimostra che il dibattito sull’Afghanistan è aperto nell’ambito della comunità internazionale. A questo punto è giusto ed auspico che se ne discuta in Parlamento, lo trovo un sano esercizio di democrazia e di realismo».
Oltre alle scelte fatte dagli Stati Uniti, ci sono altri motivi che convincono l’Italia ad andare via?
«Ci sono priorità strategiche nazionali. Le faccio un esempio: altri partner Ue hanno cambiato le loro prospettive, come Spagna e Francia, quest’ultima si è addirittura ritirata dall’Afghanistan alla fine del 2014, ma mantiene una presenza importante in Africa. Non vedo perché l’Italia non ne possa discutere, considerando che oggi il nostro principale interesse si focalizza, come è normale che sia, proprio in Africa e nel Mediterraneo».
Non crede che ci sia il rischio di isolamento?
«È evidente che ogni decisione finale sarà presa di concerto con gli alleati, l’Italia è un Paese che onora i suoi impegni, specie in ambito Nato. In Iraq stiamo chiudendo “Presidium” a Mosul ma restiamo al fianco degli iracheni nella fase di formazione e addestramento».
Il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi dice di non essere stato informato.
«Se chiedo al Coi di valutare, e sottolineo valutare, l’avvio di una pianificazione per il ritiro non credo di dover informare il ministro Moavero, perché rientra nelle mie prerogative. Del resto parliamo di una pianificazione tecnica; un’attività che i militari svolgono continuamente per farsi trovare sempre pronti. Ho informato chi di dovere, tra cui il presidente del Consiglio e il Capo di Stato Maggiore della Difesa».
La Lega sarà accordo?
«Quanto accaduto nelle ultime settimane lo abbiamo visto tutti, c’è una nuova amministrazione Usa che ha mostrato di avere un altro approccio e che l’Italia, inevitabilmente, deve poter considerare. La mia decisione rappresenta un atto di responsabilità istituzionale, verso il Paese e verso i nostri militari. Non si può credere che di fronte alla rapidità di certi sviluppi l’Italia resti a guardare. Dobbiamo arrivare pronti a un cambio di passo e la pianificazione serve proprio a questo, a capire in che modi e tempi muoverci laddove in Afghanistan si giunga ad un accordo di pace tra le parti».
L’Italia è impegnata su diversi fronti all’estero. Qual è il futuro delle altre missioni?
«Sarà il Parlamento, nel rispetto della sua centralità,a dover decidere. Ciononostante da parte mia, a nome del governo, c’è chiaramente un indirizzo politico, che abbiamo già indicato nel precedente decreto missioni e che sarà evidente nel prossimo decreto. Mi riferisco ad esempio alla nuova missione Niger, che per noi è fondamentale perché rivolta al controllo dei flussi migratori verso l’Italia».