A casa per pranzo durante il turno di servizio. Due poliziotti a processo: uno patteggia, la collega assolta
I fatti risalgono all’agosto 2021, quando i due agenti, che avrebbero dovuto essere in pattuglia sull’A1 dalle 13 alle 19, alle 12.45 sono usciti dalla caserma a bordo dell’auto di servizio diretti verso l’abitazione di uno dei due, a Cadelbosco, dove sono rimasti per oltre due ore. Solo alle 15.27, stando a quanto registrato dal Telepass, sono entrati in autostrada.
Le indagini e il rinvio a giudizio
Il vicequestore e comandante della Polstrada, compilando la relazione di servizio, ha ravvisato ipotesi di reato e ha investito la Procura, che ha aperto un’inchiesta. I due agenti sono stati rinviati a giudizio con le accuse di abbandono di servizio, peculato d’uso e falso in atto pubblico in concorso. Un assistente capo di 51 anni ha patteggiato la pena a 10 mesi, mentre la collega – un’agente semplice di 28 anni – è stata assolta da tutti i capi d’imputazione.
Strategie processuali differenti
Nel processo l’assistente capo, difeso dall’avvocato Alessandro Verona, ha optato per il patteggiamento, ottenendo una condanna a 10 mesi con la condizionale. La collega ventottenne invece, assistita dall’avvocato Ernesto D’Andrea, ha scelto il rito abbreviato e alla fine è stata assolta da tutte le imputazioni.
La perizia per smontare l’accusa di peculato
Per smontare l’accusa di peculato d’uso, il legale della donna ha presentato una perizia di parte in cui ha stimato in 1,26 euro il danno economico causato dall’utilizzo del carburante della vettura di servizio per il tragitto Reggio Emilia-Cadelbosco-Autostrada. L’obiettivo era dimostrare l’irrilevanza del danno erariale, in linea con alcune sentenze della Cassazione secondo cui il reato di peculato d’uso sussiste solo in presenza di un danno patrimoniale consistente.
Inoltre sull’abbandono di servizio, in punta di diritto, sostiene che non essendo entrati in autostrada prima delle 15,27, non avessero nemmeno cominciato tecnicamente il servizio, quindi poteva essere passibile al massimo di una sanzione disciplinare. Così come ha sostenuto di non aver mai firmato (mentre dal collega sì) la relazione di servizio nella quale si attestava di aver cominciato il turno in ritardo, facendo cadere l’ipotesi del falso in atto pubblico aggravato.
Il pm aveva chiesto una condanna a otto mesi, ma il Gup l’ha assolta da ogni accusa. La donna, commossa, ha definito la sentenza come “la fine di un incubo”.
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