Dimenticò di consegnare l’arma scarica ed il sottufficiale montante esplose un colpo. Condannato a due mesi di reclusione
Con sentenza emessa il 03/10/2018 il Tribunale militare di Napoli condannava un sottufficiale della Marina Militare, all’epoca dei fatti in servizio quale secondo capo presso il Terzo Reggimento San Marco Battaglione SDI SUD della Compagnia di Taranto, alla pena di due mesi di reclusione militare per il reato di violata consegna. Con sentenza emessa il 29/05/2019 la Corte militare di appello di Roma, decidendo sull’impugnazione proposta dall’imputato, confermava la decisione appellata, condannando l’appellante al pagamento delle ulteriori spese processuali.
I fatti
Il sottufficiale nella sua qualità di capo posto NAPI, smontante dal turno compreso tra le ore 8 del 07/03/2015 e le ore 8 dell’08/03/2015, svolto presso il Deposito Petroli Oli Lubrificanti di Taranto, consegnava la pistola d’ordinanza Beretta 92 FS munita di caricatore, al capo posto montante del turno successivo. Le modalità di affidamento dell’arma determinavano la violazione delle consegne ricevute dall’imputato, che gli prescrivevano di consegnare al capo posto subentrante la pistola d’ordinanza scarica, con il caricatore non inserito e con la sicura disattivata.
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Ricorso in Cassazione
La Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso proposto dal sottufficiale. La Suprema Corte non ha ritenuto plausibile che un sottufficiale della competenza e dell’esperienza dell’imputato avesse potuto dimenticare di restituire al capo posto montante la pistola d’ordinanza nell’assetto prescritto dalle disposizioni militari. Tale dimenticanza, peraltro, appariva ancora meno giustificabile alla luce del fatto che il ricorrente aveva avuto due occasioni – costituite dal rientro dal giro esterno del comprensorio vigilato e dal passaggio delle consegne al secondo capo – per controllare l’assetto dell’arma prima di affidarla nelle mani del sottufficiale subentrante. Non potevano, in ogni caso, rilevare, in senso favorevole al ricorrente, le circostanze, ancorché meramente asserite, che lo avevano indotto a caricare la pistola d’ordinanza prima di restituirla al secondo capo, riguardanti il sopraggiungere di un branco di cani randagi, di cui si accorgeva poco prima della conclusione del suo turno di servizio.
Per la configurabilità del delitto di violata consegna – ha sottolineato la Suprema Corte – è sufficiente la violazione delle prescrizioni ricevute dal soggetto attivo del reato, la cui tassatività, trattandosi di un reato di pericolo presunto, ne esige l’osservanza incondizionata da parte del militare, senza che sia necessario il verificarsi di un ulteriore evento come conseguenza della violazione.
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Mancato riconoscimento dell’esimente della particolare tenuità del fatto
In merito all’art. 131 bis del c.p. la Suprema Corte ha condiviso le conclusioni della Corte militare di appello di Roma, che, nel passaggio motivazionale ha sottolineato «a seguito della consegna di un’arma con caricatore inserito e del successivo comportamento del sottufficiale montante che ha effettuato la prova di un’arma scarica senza recarsi nell’apposita stazione e senza utilizzare l’apposito dispositivo a tartaruga, vi è stata un’esplosione di un proiettile che oltre ai sussistenti danni alle cose, avrebbe potuto provocarne anche alle persone». Questo percorso argomentativo deve ritenersi idoneo a escludere in sede di legittimità, precisa la Suprema Corte, l’esimente invocata, non potendosi ipotizzare, anche tenuto conto dell’elevata pericolosità dell’arma in questione e della posizione professionale altamente qualificata del ricorrente, la particolare tenuità dell’offesa presupposta dall’art. 131-bis cod. pen.