Amianto, la Difesa condannata a risarcire familiari di un militare morto per tumore. ‘Costretto a lavorare in ambiente contaminato’
Aveva 65 anni il sottufficiale della Marina militare V.L., quando il 29 maggio del 2009 è morto. Era affetto da mesotelioma pleurico. Gli era stato diagnosticato due anni prima. A farlo ammalare è stato l’amianto con cui ha convissuto dal luglio del 1961 al settembre del 1987, quando lavorava come motorista navale di sala macchine tra Taranto e La Maddalena, ha stabilito conferma è la sentenza di primo grado del giudice della II sezione del Tribunale civile di Roma, Alessandra Imposimato, che ha condannato il ministero della Difesa al risarcimento di circa 673mila euro dei familiari del militare barese.
Secondo la giudice, la morte per tumore è stata causata dall’inalazione di polveri e fibre di amianto durante gli anni di servizio sulle navi della Marina militare. Lo ha reso noto il legale Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio nazionale amianto, che si dice intenzionato “a perseguire la via di una definizione bonaria e conciliativa – ma avverte – se si negasse il diritto al risarcimento danni proseguiremo con le azioni legali in tutte le competenti sedi, fermo restando che insistiamo affinché ci siano finalmente le bonifiche per evitare che ci siano altre esposizioni”.
Nella sentenza si fa anche riferimento al fenomeno epidemico di patologie asbesto correlate tra i dipendenti della Marina. Sono 1.101 i casi di mesotelioma segnalati alla procura di Padova, molti dei quali ancora pendenti. L’ex sottufficiale V. L., all’epoca dei fatti, lavorava in ambienti completamente rivestiti di amianto, ha stabilito la sentenza, senza essere informato del rischio che correva e senza che “fossero state adottate misure di prevenzione tecnica e di protezione individuale”. Il nesso di causalità per il giudice è incontrovertibile e sarebber dimostrato come i minerali cancerogeni fossero presenti non soltanto nella sala macchine, ma anche all’interno del natante.
Il militare, è scritto nella sentenza, “era stato costretto non solo a lavorare in ambienti contaminati, ma anche ad indossare tute d’amianto per proteggersi dal calore”. Il ministero della Difesa, pur essendo a conoscenza dei danni prodotti dall’asbesto, ha omesso di tutelare la salute del sottufficiale e degli altri dipendenti e di effettuare le verifiche sanitarie periodiche. “Si osservi – si legge nella sentenza – che l’amministrazione della Difesa, nell’unico suo scritto giudiziale, salvo formule di stile (inconcludenti allo scopo), non ha contestato specificamente alcuno dei fatti, né ha mosso osservazioni in ordine all’affidabilità, alla veridicità ed alla efficacia dimostrativa della copiosissima documentazione esibita”.
Di particolare rilievo, secondo il gudice, sono il verbale della commissione medica ospedaliera di Taranto “in cui risulta certificata l’esistenza del nesso eziopatogenetico tra il decesso del militare e l’infermità mesotelioma maligno della pleura sinistra da pregressa esposizione lavorativa all’amianto”, il parere del Comitato di verifica della causa di servizio e la certificazione rilasciata dall’Inail.
Già a partire dal 1965 la comunità scientifica internazionale aveva espresso unanime consenso sull’azione cancerogena dell’amianto. Due studi epidemiologici lo hanno stabilito con certezza, quello di Doll del 1955 e quello di Wagner del 1960. Con la conferenza organizzata dalla New York Academy of Sciences nel 1964, gli scienziati convennero sull’incontrovertibilità degli effetti biologici dell’amianto. In Italia, già nel biennio 1939-1940, venivano rese note le evidenze scientifiche con gli studi del professor Enrico Vigliani e del anatomopatologo Giacomo Mottura. “Dunque – per il Tribunale di Roma – era in disponibilità dell’Amministrazione di adottare tutte le cautele prescritte dalla scienza e dalla letteratura medica”. Peraltro proprio il Ministero della Difesa nel 2015 aveva riconosciuto V. L. come “vittima del dovere”, assegnando alla coniuge e alla figlia una speciale elargizione di 111.881 euro ciascuna, che ora saranno detratti dalla somma stabilita dal giudice.
di Maria Cristina Fraddosio per il Fatto Quotidiano