Poliziotto 38enne si toglie la vita lanciandosi da un balcone
Aveva 38 anni e si è tolto la vita lanciandosi dal balcone nella sua casa di orgine un poliziotto in servizio presso il carcere della Dozza di Bologna.
Subito dopo il tragico gesto è partito l’allarme e sul posto sono accorsi i sanitari del 118 ma per l’uomo purtroppo non c’e stato nulla da fare. L’impatto al suolo si è rivelato fatale e i medici hanno solo potuto constatarne il decesso. Sin dal primo momento si è sospettato un gesto volontario e non un incidente e i successivi accertamenti di carabinieri e polizia di stato intervenuti sul posto lo hanno confermato.
Alla base dell’estremo gesto potrebbe esserci una forte delusione personale.
“Si era sempre mostrato umanamente e professionalmente disponibile verso i suoi colleghi, con senso del dovere per il suo lavoro” scrive in una nota Gianluca Giliberti, Segretario Regionale Emilia Romagna del Si.N.A.P.Pe Sindacato Nazionale Autonomo Polizia Penitenziaria “non possiamo accettare un ennesimo suicidio, proviamo rabbia e profondo dolore”.
Giliberti sottolinea che da tempo, il sindacato “chiede l’istituzione di punti di ascolto psicologico presso ogni Istituto, al fine di prevenire e fronteggiare eventuali problemi di stress lavorativo e/o burnout tra gli operatori. Restiamo tra i Corpi di Polizia con numero più elevato di suicidi registrati ogni anno”.
Per il segretario Si.N.A.P.Pe “il carcere è una macchina articolata, con molteplici difficoltà e precarietà che vanno fronteggiate quotidianamente, spesso con scarse risorse e strumenti utili.Auspichiamo – conclude – che l’Amministrazione Penitenziaria prenda in carico seriamente questa piaga, con giusti interventi da porre in loco – e non con un mero numero verde nazionale – a tutela del sacrosanto diritto alla vita dei lavoratori. Sensibilizzeremo, senza mezzi termini, le Autorità locali con una fiaccolata di solidarietà”.
FP Cgil Penitenziaria “ancora una volta si trova ed esprimere sgomento, incredulità e senso di impotenza per l’ennesimo gesto estremo che coinvolge un giovane operatore. Che cosa noi chiediamo – assieme a tutti gli altri sindacati perché non c’è sigla che tenga su questo – alle autorità preposte praticamente da sempre? – si legge nella nota – non certo di poter impedire sempre e comunque ad una giovane vita per delle ragioni che solo conosce di togliersi la vita, questo purtroppo non si riuscirà mai a farlo, ma in uno dei contesti lavorativi tra i più stressanti e usuranti dal punto di vista psicologico è mai possibile che non si riesca ad andare oltre l’istituzione di un numero verde nazionale? Un numero verde può mai risultare lo strumento giusto ed efficace per monitorare ed intercettare quelle situazioni sempre più diffuse di stress lavoro-correlato, mobbing, burnout o è semplicemente un modo per far vedere di affrontare il problema, come sempre più spesso sta capitando. Ma nel fingere il qualche modo si riconosce, solo si sceglie la tattica dello struzzo”. Anche per Fp CGIL “ci vogliono luoghi di ascolto veri, seri, per il personale da istituire in loco e non dall’altro capo di un filo del telefono. Conosciamo anche l’obiezione solita, classica…le risorse! Le risorxe si trovao, si devono trovare – tuona il sindacato – e se un’amministrazione non lo fa, se un Paese non lo fa e persevera nel non farlo smette di essere un’amministrazione e un Paese civile”.
Dello stesso tenore la nota a firma Domenico Maldarizzi della Uil Pa Polizia Penitenziaria: ‘Forse in questo caso non c’entrano le pessime condizioni di lavoro degli Agenti poiché presumibilmente è da ricondurre a qualche delusione personale ma, di certo, non si può sottacere sul fatto che dall’inizio dell’anno ben 7 colleghi hanno deciso di farla finita”.
“Una strage silenziosa – continua Maldarizzi – quella di chi si toglie la vita tra gli appartenenti alle forze dell’ordine a dimostrazione che l’accesso a strumenti letali e particolari situazioni lavorative di stress sono tra i fattori incideni», considerati dagli psichiatri nella valutazione clinica del rischio di suicidio”. “È vero – continua il sindacalista – è difficile arginare questo rischio suicidio per il numero di variabili a cui sono esposti i membri delle forze dell’ordine ma, è pur vero che l’Amministrazione ben poco fa per diminuire le azioni stressogene del nostro lavoro o per cercare di captare disagi
anche familiari”.
“Le esperienze pregresse, che pure sono state realizzate a macchia di leopardo sul territorio nazionale, hanno dimostrato che i “centri di ascolto” o gli “sportelli psicologici”, per evidenti ragioni, non sono frequentati e/o non sono da soli sufficienti perciò l’Amministrazione, oggi, deve analizzare le cause dello stress, carenze di personale, strutture, mezzi attrezzature,
insufficienze formative ma soprattutto – continua Maldarizzi – deve cercare di prevenire gli eventi critici poiché i Poliziotti possono essere coinvolti in qualità di spettatori, soccorritori e protagonisti durante l’espletamento del proprio servizio al punto di mettere a dura prova le capacità di adattamento Questi eventi possono avere un effetto traumatico e potenzialmente
lesivo dell’idoneità specifica del lavoratore, sia per colui che è rimasto vittima dell’infortunio/incidente, sia per coloro che hanno assistito direttamente all’intervento e/o prestato soccorso. Questo induce nel personale – conclude Il Segretario della Uil PA Polizia Penitenziaria di Bologna – un significativo senso di isolamento sociale e fisico che suscita un sentimento di abbandono da parte della propria amministrazione, una tendenza a confrontare la propria condizione con quella dei detenuti, una monotonia e ripetitività del lavoro che possono risultare dannosi e ingigantire eventuali problemi personali”.