Carabinieri

LA SENTENZA MAZZATA SUI VERTICI DEI CARABINIERI. CONDANNATI GLI UFFICIALI DEL ROS MORI, SUBRANNI E DE DONNO

(di Guido Ruotolo, editorialista) – Bisognerà aspettare le motivazioni per capire cosa è successo in quei tragici giorni del 1992 e del 1993, quando Cosa nostra sferrò un attacco eversivo e stragista contro lo Stato. Erano giorni drammatici. Lo Stato stava implodendo. Il governo presieduto da Ciampi temeva addirittura un golpe, la notte del 27 luglio del 1993, quando esplosero le bombe a Roma e Milano e a Palazzo Chigi saltarono le linee telefoniche.

L’ipotesi di favoreggiamento di Cosa nostra

Era quello il contesto. E tutti, forze di polizia e Servizi furono impegnati a cercare intanto di capire chi e perché aveva deciso l’attacco al cuore dello Stato (con le stragi Falcone e Borsellino prima, Roma, a Firenze e Milano dopo). E poi a tentare di neutralizzare l’esercito del male.
Ora i giudici di Palermo, con le condanne di ieri, sembrano dire che quei tentativi di prendere tempo e di cercare di individuare gli autori delle stragi, in realtà furono comportamenti collusivi, di favoreggiamento di Cosa nostra.

Assolto Mancino

Ieri pomeriggio, la seconda sezione della Corte d’Assise di Palermo, presidente Montalto, ha sostanzialmente accolto la tesi della Procura della repubblica, condannando tutti gli esponenti delle istituzioni, escluso l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, accusato di false dichiarazioni, per aver trattato con Cosa nostra.

La trattativa con i Corleonesi

Esponenti del Ros dei Carabinieri prima (fino al 1993), Marcello Dell’Utri dopo, proprio mentre Cosa nostra “parlava” con le autobombe, con le stragi, intavolarono una trattativa con i Corleonesi che presentarono il conto (“il papello”) allo Stato, chiedendo l’abolizione del 41 bis e dell’ergastolo. E, dunque, si sono resi complici dei mafiosi. Il capo d’imputazione contesta infatti il concorso nella “minaccia al corpo dello Stato” (le bombe di Firenze, Roma e Milano rappresentano la minaccia).

La condanna a morte di Mannino

In attesa delle motivazioni dei giudici, che dovrebbero essere depositate entro fine luglio, sospendiamo per il momento la valutazione della sentenza anche sulla base di alcune decisioni prese dalla stessa magistratura che sono apparentemente contraddittorie con la sentenza di ieri. Come l’assoluzione per gli stessi fatti contestati agli imputati, in primo grado, per l’ex ministro Calogero Mannino. L’esponente politico agrigentino, infatti, era accusato di aver coinvolto il ros dei carabinieri nel tentativo di fare annullare la decisione della sua condanna a morte da parte del Tribunale di Cosa nostra.

L’assoluzione di Mori e le condanne

C’è stata poi l’assoluzione definitiva del generale Mario Mori per non aver catturato Bernardo Provenzano.
Dunque, i mafiosi Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina, e Antonino Cinà sono stati condannati ieri il primo a 28 anni di carcere, a 12 anni il secondo. Gli ufficiali del Ros dei carabinieri, Antonio Subranni e Mario Mori dovranno scontare 12 anni, Giuseppe De Donno 8 anni. Per calunnia nei confronti dell’ex capo della Polizia, il prefetto Gianni De Gennaro, a 8 anni è stato invece condannato Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino. Infine, l’ex senatore Marcello Dell’Utri, fondatore di Pubblitalia, che sta scontando una pena in carcere per concorso esterno a Cosa nostra, è stato condannato a 12anni.

Condanne durissime

Naturalmente, una volta depositate le motivazioni, le parti potranno presentare ricorso. Al di là dei commenti dei “Guelfi” e dei “Ghibellini” che in tutti questi cinque anni di dibattimento si sono scontrati nel difendere o nello smontare le accuse, colpisce l’entità delle condanne.

Fu eversione?

Cinque giorni di camera di consiglio, per scrivere un dispositivo di condanna. I giudici palermitani avranno non oltre novanta giorni da ieri per motivare le accuse. Davvero Mario Mori e Giuseppe De Donno, con il consenso dell’allora comandante del Ros, Antonio Subranni, con il loro comportamento – avere intavolato un dialogo con l’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino, mafioso di Corleone – hanno oggettivamente assecondato i progetti eversivi di Cosa nostra?

Le parole di Riina

Totò Riina raccontava al suo popolo che (esponenti delle istituzioni, ndr) si erano “fatti sotto…”, ma poi gli incontri nella casa di piazza di Spagna tra Ciancimino e gli ufficiali del Ros furono bruscamente interrotti. Il 19 dicembre Ciancimino fu portato in carcere per scontare una condanna definitiva, Salvatore Riina il 15 gennaio del 1993 fu catturato a Palermo.

Le responsabilità di Dell’Utri

Nel ‘93, secondo l’accusa, fu il collaboratore di Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri che cominciò a trattare con Cosa nostra.  Il Cavaliere stava maturando la sua “discesa in campo” e i Corleonesi avevano fatto esplodere autobombe a Roma, Milano e Firenze. Dell’Utri guardava alla prospettiva. Una volta in carica il governo Berlusconi, si doveva bloccare l’offensiva stragista. Magari accogliendo le richieste dei Corleonesi. Il paradosso, quasi un quarto di secolo dopo, è che il 41bis come l’ergastolo sono ancora in vigore. E i Corleonesi sono in carcere o al camposanto.

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