Servizi segreti a corto di uomini: tolta la scorta agli ex premier. Passano alla Polizia, ma Renzi rifiuta: “Non tolgo sicurezza ai cittadini per proteggere me stesso”
Dal 2026, gli ex presidenti del Consiglio perderanno la scorta garantita dai servizi segreti. Un taglio netto al doppio dispositivo di sicurezza che finora assicurava la protezione mista – tra intelligence e Polizia – a chi ha guidato il governo. L’annuncio, tutt’altro che irrilevante, è stato anticipato da Il Foglio, in un articolo firmato da Simone Canettieri, e nasce da una lettera ufficiale del sottosegretario Alfredo Mantovano, responsabile politico dell’intelligence.
La motivazione? “Un atto dovuto”, scrive Mantovano, “in applicazione di una circolare emanata dal governo Conte due”. Peccato che quell’atto dovuto arrivi oggi, e riguardi nomi pesanti: Paolo Gentiloni, Matteo Renzi, Mario Monti, Romano Prodi, Massimo D’Alema.
Per loro, niente più Aisi. Niente più agenti dei servizi. Solo la protezione affidata al Viminale. Ma con una postilla non da poco: la presidente Meloni continuerà invece a beneficiare della scorta mista, come specifica lo stesso Mantovano nella sua lettera, quasi a prevenire le polemiche.
“Le misure differenziate restano invariate unicamente per il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore”, si legge. Tradotto: la premier resta con gli 007, gli altri si arrangino con la Polizia.
Renzi si infuria: “Siamo nelle mani di persone pericolose”
A rompere il silenzio per primo è Matteo Renzi, che non solo si dice indignato, ma pubblica integralmente la lettera riservata inviata a Meloni e Mantovano. Un gesto politico e personale, che lascia poco spazio all’interpretazione:
“Oggi è accaduta una cosa molto grave“, scrive su Facebook. “Uno scambio riservato tra me e il sottosegretario Mantovano sulla mia scorta è stato passato dal Governo ai giornali”.
E accusa: “Il Governo usa le veline per attaccare gli avversari. È il segno che la premier Meloni e il sottosegretario Mantovano stanno scherzando col fuoco. Si piegano le Istituzioni per vendette personali. È scandaloso”.
La lettera è un atto d’accusa durissimo: Mantovano viene descritto come un uomo di parte, che usa il suo potere sui servizi non per garantire la sicurezza dello Stato, ma per regolare conti politici.
“Mi avevate già informato di questa scelta – scrive Renzi – con una telefonata il 9 novembre e con messaggi su WhatsApp. Ne ho lasciato traccia nel mio libro, perché resti a futura memoria del vostro stile di governo, se così si può definire”.
E poi, l’affondo: “La giustificazione è ridicola. Sostenere che l’Aisi abbia bisogno di personale in più è falso. L’Aisi continua a garantire il servizio di tutela ad altre personalità, a cominciare dalla presidente Meloni. Non vi è alcuna ragione generale, ma solo una punizione politica“.
Il rifiuto di Renzi: “Non toglierò agenti ai cittadini”
Ma la parte più sorprendente della lettera non è l’accusa. È il rifiuto.
Renzi scrive nero su bianco: non accetterà la scorta del Viminale.
“Non posso accettare che cittadini abbiano meno servizi perché personale della Polizia deve tutelare il sottoscritto“, afferma. “Avevo una scorta, mi viene tolta, farò senza“.
Un gesto di sfida, ma anche un modo per scaricare la responsabilità politica: “Dal primo gennaio 2026 non voglio che il Ministero dell’Interno abbia alcuna responsabilità amministrativa per eventuali incidenti. La piena responsabilità sarà politica, di Meloni e Mantovano“.
Renzi cita il caso Abe, parla con rispetto dei suoi agenti – “professionisti straordinari” – ma chiude con una frase che pesa: “Mai nella storia italiana un premier ha trattato così i suoi predecessori. Non lo ha fatto Berlusconi con Prodi. Non lo ha fatto Prodi con Berlusconi. Non lo ha fatto nessuno”.
Una scelta tecnica o un boomerang politico?
Il governo si trincera dietro la norma, ma la tempistica – e il trattamento riservato solo a chi non è più a Palazzo Chigi – alimenta più di un sospetto. E se davvero la decisione è frutto di una semplice razionalizzazione, perché tenere Meloni sotto scorta Aisi mentre tutti gli altri ex premier vengono “declassati”?
Per ora, gli altri ex presidenti del Consiglio non parlano. Ma l’impressione è che la bufera sia appena cominciata. Perché toccare la sicurezza, in Italia, non è mai un fatto neutro. E trasformarla in strumento di battaglia politica, può essere un azzardo fatale.
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