Crosetto: “Siamo il peggior Paese del mondo” – Gaza e Ucraina affondano nel teatrino di Montecitorio
MONTECITORIO, ROMA – «Siamo il peggior Paese del mondo», esplode il ministro della Difesa Guido Crosetto in un intervista al Giornale facendo riferimento a quando, nell’aula di Montecitorio, le opposizioni processano il governo per essersi opposto – insieme a Berlino – alle sanzioni UE contro l’esecutivo di Netanyahu dopo la tragedia di Gaza.
Crosetto rivendica la necessità di «ratio» ricordando i fantasmi di novant’anni fa che ancora gravano sull’Europa: la Storia, dice, pesa quando si decide di colpire Israele. Poi la stoccata a Netanyahu: «Vuoi sradicare Hamas? I morti civili lo alimentano». Ma tra maggioranza e opposizione lo scontro è al calor bianco: la politica estera diventa solo un’altra miccia elettorale, e il ministro lamenta l’assenza di un fronte comune su dossier che, come Ucraina e Medio Oriente, dovrebbero unire il Paese.
Schlein vs Conte: megafoni, retorica e nessuna strategia
Nella stessa aula, il dramma di Gaza si trasforma in gara di decibel. La segretaria dem Elly Schlein e il leader M5S Giuseppe Conte duellano a colpi di «genocidio» e «deportazione», unendo kefiah e megafoni più che proposte concrete. I riformisti, da Lorenzo Guerini in giù, scelgono il silenzio – «Non mi fate parlare» – mentre l’intero emiciclo appare prigioniero di una radicalizzazione che sacrifica la diplomazia al tornaconto social. Trenta anni fa, ricorda Crosetto, ci si sarebbe chiusi in una stanza per un documento unitario; oggi prevale il marketing del conflitto. Così, Gaza resta solo un hashtag, utile a misurare la purezza identitaria, non a salvare vite.
La “dottrina Schlein”: identità prima del governo
È la conseguenza della «dottrina Schlein», spiegano i suoi strateghi: meglio un Pd “pacifista disarmato” che ambire al governo. Risultato? In Europa, dal Portogallo alla Polonia, le ultime urne hanno visto la sinistra evaporare davanti a centro-destra e nazionalisti, mentre l’unico successo progressista – i laburisti di Starmer – smentisce la rotta dem. «Senza una scossa l’epilogo è segnato», avverte Marco Damilano. Persino l’ex premier Conte appare più trasversale sui referendum, lasciando libertà di scelta dove il Pd chiude il recinto. Un recinto che tutela le classi dirigenti ma dimentica la vocazione maggioritaria: dal “campo largo” al “campo minato” delle bandierine ideologiche.
Due popoli, due Stati: la linea Crosetto su Israele e Palestina
Crosetto, intanto, snocciola la sua ricetta. L’Italia, ricorda, è da sempre amica di Israele ma anche sostenitrice del popolo palestinese con fondi e diplomazia: «La linea resta due popoli, due Stati». E a chi brandisce l’embargo sugli armamenti replica: «Non esportiamo più materiali letali verso Tel Aviv». Poi il monito: l’offensiva a Rafah «rafforza Hamas, ogni civile ucciso genera un nuovo nemico».
Difesa europea e ritorno dell’ONU: la visione strategica del ministro
L’unica via d’uscita è un cessate il fuoco immediato e il ritorno della comunità internazionale con una forza di pace dell’ONU, grande assente sul campo. Senza un argine multilaterale – avverte – l’odio diventa carburante per guerre infinite.
Sul fronte russo-ucraino, il ministro difende la premier Giorgia Meloni, vista Oltreoceano come «pontiere» fra Trump e von der Leyen: «È ridicolo parlare di gara tra leader, l’obiettivo è la pace». Ma la tregua non può coincidere con la smilitarizzazione di Kiev, regalo a Putin. E se Macron flirta con ipotesi di boots on the ground, l’Italia predica coesione europea. Per Crosetto servono sette-dieci anni per una difesa europea integrata, non un esercito ex novo ma un network fra le forze esistenti, allargato anche a Regno Unito, Balcani e Turchia, perché «dipendiamo dagli USA in tutto, dalla cybersicurezza agli armamenti».
“Governare è indicare la rotta, non contare i like”
Alle accuse di spendere in armi mentre gli italiani tirano la cinghia, il ministro risponde secco: ««Non capisco perché una cosa debba essere alternativa all’altra. E comunque stiamo parlando di un 1% in più, che serve se si guarda al futuro, non alla campagna elettorale. È facile fare propaganda dall’opposizione, per interesse immediato. Noi governiamo, e abbiamo la responsabilità di indicare quale strada deve prendere il nostro Paese».
Chi governa deve indicare una rotta, non contare i like. Finché Montecitorio resterà un ring, la diplomazia italiana sarà condannata al ruolo di comparsa. Gaza, Kiev e l’intera scacchiera globalizzata non possono aspettare la prossima campagna social: l’unica hashtag che conta è pace, ma bisogna volerla davvero.
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