IL GENERALE DELLA GUARDIA DI FINANZA CHE DICEVA AD UN CLAN DOV’ERANO LE CIMICI MESSE DAI MILITARI
È questo il titolo di Dagospia in riferimento ad un articolo di Fiorenza Sarzanini e Fulvio Bufi per il “Corriere della Sera”.
A gennaio sarebbe diventato il comandante in seconda della Guardia di Finanza. E invece la carriera del generale Giuseppe Mango, attuale comandante interre-gionale del Veneto, sembra destinata a finire qui.
INVESTIGATORE PRIVATO MICROSPIE
I magistrati di Napoli gli contestano di aver «soffiato» notizie riservate su un’ indagine in corso. Di aver svelato i dettagli segreti dell’ inchiesta, compresa la presenza di alcune «cimici» piazzate dai suoi colleghi delegati agli accertamenti su alcuni imprenditori e professionisti sospettati di fare affari con i clan della camorra. E per questo ne hanno chiesto l’ interdizione, contestandogli la rivelazione del segreto.
Per le Fiamme Gialle è l’ ennesima bufera, dopo quelle che nei mesi scorsi hanno coinvolto ufficiali di alto livello. Anche perché – nonostante le verifiche fossero state affidate a reparti della stessa Finanza e dunque i vertici fossero stati puntualmente informati – non si è ritenuto di prendere provvedimenti. E adesso altri rischiano di essere coinvolti nell’ inchiesta.
La vicenda risale al 2014. Il Gico e il Nucleo valutario indagano sulle attività di alcuni imprenditori e commercialisti sospettati di essere a disposizione della criminalità organizzata per il riciclaggio di capitali. Effettuano controlli bancari, patrimoniali. Si concentrano su alcune catene commerciali e di ristoranti come «Rossopomodoro», sul ruolo di investitore del calciatore Fabio Cannavaro.
Il fascicolo è delegato al pubblico ministero Fabrizio Vanorio, con il procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli. E sono proprio i magistrati a chiedere e ottenere dal giudice di poter intercettare alcune utenze telefoniche, oltre a piazzare microspie in uffici e studi professionali. Verifiche delle quali vengono informati alcuni ufficiali della Finanza proprio per il ruolo apicale che ricoprono nei vari reparti.
Tra loro, c’ è appunto il generale Mango.
Ascoltando alcune conversazioni gli investigatori capiscono che gli indagati sono stati avvisati dell’ esistenza dell’ indagine. Approfondiscono la natura della «soffiata» e scoprono che è stato proprio il generale Mango a parlarne con un amico, l’ avvocato Roberto Guida.
Inizialmente sembra che non ci sia nulla di doloso, anzi si comprende che si è trattato di una leggerezza nel corso di un incontro conviviale, non sembra emergere la volontà di mettere gli indagati sull’ avviso, ma forse il tentativo di accreditare il proprio ruolo mostrando di conoscere quel che accade. Ma dopo poco lo scenario cambia. Mango viene informato che sul suo conto è stato aperto un procedimento.
Dovrebbe mantenere il segreto. E invece si rivolge nuovamente all’ avvocato, questa volta scrivendo una lettera in cui lo rimprovera per aver veicolato la notizia, ma aggiunge anche particolari fondamentali come la presenza delle microspie.
Il legale capisce di essere finito in un ingranaggio che lo può stritolare e a quel punto decide di giocare in contropiede consegnando la lettera ai magistrati. È l’ inizio della fine. I pubblici ministeri chiedono gli arresti per imprenditori e commercialisti, nei confronti del generale sollecitano la misura dell’ interdizione.
Mentre il giudice studia il fascicolo per la decisione, Mango continua la carriera e arriva al vertice della Regione Veneto. Ieri scatta il blitz. I finanzieri eseguono le ordinanze di custodia cautelare e notificano al generale la convocazione in Procura per martedì prossimo, così come prevede la procedura per questo tipo di misure.
L’ indagine appare tutt’ altro che conclusa. Altri alti ufficiali delle Fiamme Gialle sono già stati convocati in Procura, il sospetto è che fossero inseriti nel «giro» e possano aver passato informazioni riservate o comunque aver agevolato frequentazioni sconvenienti.
Nell’ ordinanza di custodia cautelare si fa esplicito riferimento a un certo «Vito» e i pubblici ministeri chiedono a un indagato se conosca Vito Bardi, generale della Finanza ora in pensione, già coinvolto in vicende trattate dai magistrati napoletani, compresa quella che aveva come protagonista il generale Michele Adinolfi.
Quanto basta per comprendere che per il Comando generale si apre un nuovo periodo tutt’ altro che semplice da gestire, anche tenendo conto delle conseguenze che l’ uscita di scena di Mango avrà sul nuovo assetto di vertice.