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650 EURO PER I RICORSI AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SONO IRRAGIONEVOLI: SI PRONUNCERÀ LA CONSULTA

(di Luca Marco Comellini) – Ve la ricordate la solitaria battaglia dei Radicali contro
l’imposizione del “contributo unificato”
 sul ricorso
straordinario? 
Quell’odioso balzello di 600 €. – imposto
dal Governo Berlusconi e poi aumentato a 650 da quello di Monti –
che ha interrotto una secolare tradizione di gratuità del rimedio che è sempre
stato considerato uno strumento di tutela “flessibile e aggiuntivo, snello e a
formalismo minimo attivabile senza il bisogno dell’assistenza tecnico-legale” –
come comunemente lo definisce la giurisprudenza – e per questo utilizzato dal
comune cittadino che non ha la disponibilità economica per farsi assistere da
un avvocato?

Bene, come
vi avevo raccontato qualche tempo fa,
 proprio
sulla costituzionalità di questa “tassa” un Giudice ha deciso
di interessare la Corte costituzionale
 e oggi che finalmente posso
leggere la motivazione della loro decisione sono ancora più convinto – e non
credo di essere il solo – dell’urgente necessità di un radicale cambiamento della
classe politica e del sistema di fare le leggi che, innegabilmente, sono ancora
troppo spesso ben lungi dall’essere dalla parte degli interessi dei cittadini.
Ripercorrendo
tutti gli aspetti della questione,
 la
Commissione Tributaria Provinciale di Roma, nell’articolata motivazione dell’Ordinanza
di remissione degli atti al Giudice delle leggi, ha affermato che è la misura
del contributo “può costituire un vulnus dei parametri costituzionali di
cui agli articoli 3 e 24 Cost.”. Imporre il pagamento di un “contributo” pari
al doppio di quello richiesto per l’ordinario ricorso al giudice amministrativo
appare – secondo il Collegio remittente – irragionevole e
provoca una ingiustificata disparità di trattamento. Ma vi è di
più! Ora non sto qui a riportare tutto il testo dell’Ordinanza perché sarebbe
noioso per i non addetti ai lavori (chi la vorrà leggere potrà sempre farlo qui),
ma c’è una parte della decisione della Commissione che di riflesso riguarda tutti
i cittadini e avvalora – qualora ve ne fosse ancora la necessità – l’urgenza di
quei cambiamenti di cui vi ho detto sopra .
Alla violazione
dell’art. 3 Cost.
 – scrivono i giudici tributari – si aggiunge, sotto
il profilo della manifesta irragionevolezza, anche quello dell’art. 24 Cost.,
perché prevedere un contributo decisamente superiore per il ricorso
straordinario rispetto a quello al Tar-Consiglio di Stato, al quale pure è
alternativo, significa dissuadere il soggetto interessato dal
presentare ricorso
 al Presidente della Repubblica indirizzandolo a
quello ordinario, più complesso dal punto di vista processuale e per il quale è
necessaria la difesa tecnica con conseguente notevole aggravio dei costi per il
ricorrente. Tale evidente effetto dissuasivo – che aggraverebbe la
illegittimità della norma, anche sotto il profilo della proporzionalità, se
nascondesse la remota finalità del legislatore – comprime il
diritto di difesa quale costituzionalmente garantito dall’art. 24 limitando la
libertà di scelta dello strumento giuridico ritenuto più idoneo a tutelare i
propri diritti fra quelli previsti dall’ordinamento per l’area della giustizia
amministrativa o perlomeno condizionandola con la previsione di una
ingiustificata diversa misura del contributo unitario.”.
Si,
avete letto bene.
 Il Collegio nel
motivare la violazione dell’articolo 24 della Costituzione non esclude
l’esistenza di una “remota finalità del legislatore”, una volontà di
dissuadere il cittadino dall’utilizzare il ricorso straordinario e tale
intento, a dire il vero, troverebbe riscontro anche nella consistente
diminuzione dei ricorsi presentati: nel 2010 (anno precedente
all’imposizione fiscale sui ricorsi straordinari) il Consiglio di Stato in
sede consultiva aveva ricevuto 5.694 ricorsi mentre nel 2014 sono stati
soltanto 2.675.
Questo
è soltanto uno dei molteplici esempi
 che
si possono fare per spiegare l’esistenza di una classe politica che da
oltre 60 anni tiene in ostaggio
 ogni aspetto della vita di questo
Paese; un sodalizio che pur di restare incollato alla poltrona
è sempre disposto ad approvare qualsiasi cosa risponda agli interessi del più
forte: in questo specifico caso è la norma – ora sottoposta al vaglio
della Corte costituzionale – che è stata, evidentemente, pensata e voluta
non per ragioni di bilancio ma, più semplicemente, per rispondere all’esigenza
della pubblica amministrazione di dover impedire ai cittadini di reclamare
giustizia, secondo i parametri degli articoli 3 e 24 della Costituzione, contro
gli atti amministrativi lesivi dei diritti (penso ai vertici delle forze
armate, ma anche delle forze di polizia, che in più occasioni si sono lamentati
dell’eccessivo contenzioso
 contro gli atti delle loro
amministrazioni).

Per
fortuna, a differenza del passato,
 nonostante
i discutibili personaggi che occupano il Parlamento e i posti di comando nelle
amministrazioni dello Stato siano sempre gli stessi (a parte quelli eletti
nelle liste del M5S, non tutti però), abili nell’arte del riciclarsi sotto
differenti partiti e bandiere (a volte più di una), oggi c’è un
Presidente della Repubblica
 che vanta un passato illustre – anche come
giudice costituzionale – e questa sua presenza al vertice dello Stato, a
differenza di chi lo ha preceduto, potrebbe essere determinante per respingere
i continui assalti della politica ai diritti dei cittadini.

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