VIOLENZA IN DIVISA: “TI APPENDO AL CANCELLO”, LA STORIA SHOCK DELLA SOLDATESSA PICCHIATA DAL SUPERIORE
(di Avv. Umberto Lanzo)
Un caso scioccante di violenza domestica scuote l‘Esercito Italiano nei pressi di Napoli. Una caporale maggiore del Genio Guastatori è stata vittima di brutali violenze da parte di un superiore: schiaffi, testate contro il cruscotto, un dente rotto, presa per i capelli, il classico occhio nero. La vicenda mette in luce una grave lacuna nel sistema militare italiano: l’assenza di una normativa specifica sulla violenza di genere nelle caserme.
LA SPIRALE DEL SILENZIO
Il dramma emerge durante un servizio di “Strade Sicure“, quando la militare quarantenne si presenta con evidenti segni di maltrattamento. Inizialmente, nonostante il supporto della psicologa dell’Esercito, la donna mantiene il silenzio, proteggendo l’identità del suo aggressore, un superiore di 48 anni con cui aveva intrattenuto una relazione. Solo dopo l’ennesimo episodio di violenza, culminato con uno sputo e la minaccia “Ti appendo al cancello di casa”, trova il coraggio di denunciare.
MINACCE E VIOLENZA PSICOLOGICA
Le carte del processo rivelano un quadro inquietante di abusi verbali e psicologici. “Put… tu sei malata di mente”, è solo una delle tante minacce documentate. Il comportamento violento si alternava a manipolazioni psicologiche che hanno eroso gradualmente l’autostima della vittima.
LA SINDROME DI STOCCOLMA IN DIVISA
Il dottor D’Angelo, psichiatra incaricato del caso, identifica un classico caso di “sindrome di Stoccolma”. L’aggressore aveva metodicamente isolato la vittima, descritta da tutti come “una donna forte, volitiva e non certo passiva”, dal suo ambiente familiare e professionale, creando una dipendenza psicologica devastante. La donna, un tempo energica e motivata, aveva gradualmente perso interesse per il lavoro e la vita sociale.
IL PARADOSSO GIUDIZIARIO
Il caso assume contorni kafkiani quando il Tribunale Militare di Napoli, nonostante le numerose testimonianze a favore della vittima, assolve l’imputato. La sentenza, incredibilmente, rovescia i ruoli: la vittima diventa persecutrice, l’aggressore vittima di una donna “gelosa”.
SVOLTA NELL’APPELLO
Il Pubblico Ministero Militare, accogliendo il sollecito della parte civile, ha impugnato la sentenza contestando un grave travisamento dei fatti. Particolarmente significativa appare la testimonianza, inizialmente trascurata, del dentista che ha documentato la rottura dell’incisivo della vittima, attribuendola esplicitamente a “una condotta violenta” del compagno.
VERSO UNA RIFORMA NECESSARIA
Questa vicenda solleva interrogativi cruciali sulla tutela delle donne nelle forze armate italiane. L’assenza di un “codice rosso” militare lascia le vittime in un limbo giuridico, rendendo ancora più difficile emergere dal silenzio e denunciare gli abusi. La sentenza di oggi potrebbe segnare un precedente importante per il futuro della giustizia militare in materia di violenza di genere.
ATTESA PER IL VERDETTO
Gli occhi sono puntati sulla Corte Militare d’Appello, chiamata oggi a pronunciarsi su un caso che potrebbe fare giurisprudenza. La decisione non riguarda solo la giustizia per una singola vittima, ma potrebbe influenzare il futuro trattamento dei casi di violenza di genere all’interno delle forze armate italiane.
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