Avvocato Militare

Ufficiale esorta soldatessa ad effettuare un rapporto sessuale a un militare. “L’omertà” dei colleghi e la condanna della Cassazione

Pieno appoggio della Cassazione al ‘Me too’ che si leva dalle caserme. Basta con insulti e allusioni sessuali nei confronti delle donne in divisa da parte dei loro superiori e commilitoni, questi comportamenti – avvertono i supremi giudici – non meritano sconti e attenuanti perché oltre ad offendere la dignità di chi li riceve, minano quelle regole di comportamento “la cui osservanza è strumentale alle basilari esigenze di coesione e, dunque, di funzionalità delle Forze Armate”. E’ quanto si legge in un articolo di Repubblica.it.

Così gli ‘ermellini’ hanno confermato la condanna a tre mesi di reclusione per ingiuria aggravata – pena sospesa – per un ufficiale che a mensa aveva esortato una soldatessa ad “effettuare un rapporto sessuale orale a un militare presente”.
La donna caporalmaggiore aveva subito lasciato il tavolo. Per la Cassazione frasi del genere non sono una “amenità” come sostenuto dall’ufficiale ma hanno un “significato spregiativo penalmente rilevante” e sono una “offesa alla dignità della persona” e i militari sono tenuti “a una più rigorosa osservanza di regole di comportamento, anche di comune senso civico”.

Oltre all’offesa, la soldatessa che ha denunciato l’ufficiale imputato in questa vicenda – Armando Tateo di 42 anni con un precedente penale e una pluralità di punizioni disciplinari all’attivo – ha dovuto subire anche l’omertà degli altri militari seduti allo stesso tavolo e che avevano assistito “all’uso di un linguaggio tanto volgare e arrogante” ma in dibattimento avevano “negato di avere udito la frase offensiva”. Per uno degli ‘omertosi’, racconta il verdetto della Cassazione, è stato possibile contestargli di aver mentito su come erano andate le cose dato che “in sede di indagini aveva raccontato il medesimo episodio” riferito dalla soldatessa “ed aveva riportato le identiche parole ingiuriose”. In sostanza i commensali presenti si erano limitati a dire che la soldatessa “era andata via colpita e innervosita” e il maresciallo al quale si era subito rivolta confermava che quello era il racconto fatto dalla donna “nell’immediatezza del fatto”.

 


In primo grado il Tribunale militare di Verona nel 2015 aveva negato la concessione delle attenuanti all’ufficiale e la stessa cosa ha fatto la Corte d’appello militare di Roma che nel 2018 ha escluso che il fatto possa considerarsi di “particolare tenuità” in considerazione “del disprezzo dimostrato e della indifferenza verso il proprio grado”, inoltre il precedente penale e le punizioni subite impedivano altri benefici “oltre la sospensione condizionale della pena”.

Ora la Cassazione ha reso vano anche l’ultimo tentativo dell’ufficiale di screditare la soldatessa dicendo che la reazione della donna era solo “il rifiuto del racconto a sfondo erotico che lui stava facendo ai commensali” e che il contesto di “particolare amenità” doveva indurre a concedergli le attenuanti.

Gli ‘ermellini’ – che hanno dichiarato inammissibile il ricorso dell’imputato condannandolo anche a pagare tremila euro alla Cassa delle ammende – hanno replicato che le “contestazioni effettuate in dibattimento hanno consentito di verificare che quanto accaduto alla persona offesa era stato ben avvertito dai presenti”.

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