Ucciso da un carabiniere durante un Tso non autorizzato. Nistri incontra i familiari
Il 32enne di Carmignano Sant’Urbano, in provincia di Padova, venne ucciso da un maresciallo dell’Arma mentre cercava scappare per sottrarsi a un Tso. Ieri il comandante generale dei carabinieri ha incontrato la madre e la sorella.
«È stato un incontro carico di umanità, che poi era quello che avremmo voluto da parte dell’Arma sin dal primo momento. Il generale ha parlato da padre ed è stato molto solidale con il dramma e il dolore della nostra famiglia». Si dicono confortate la madre e la sorella di Mauro Guerra, il 32enne di Carmignano Sant’Urbano, in provincia di Padova, ucciso dal maresciallo dei carabinieri Marco Pegoraro il 29 luglio del 2015, mentre cercava scappare e difendersi per sottrarsi a un Tso (Trattamento sanitario obbligatorio). Ieri hanno incontrato a Roma il comandante generale dei Carabinieri Giovanni Nistri. «Non sono arrivate scuse, non ci aspettavamo arrivassero, il generale ha ascoltato la nostra vicenda con partecipazione», hanno detto Elena Guerra e Giusy Businaro al termine dell’incontro. All’appuntamento era presente anche Valentina Calderone, dell’associazione «A buon diritto», e uno degli avvocati della famiglia Alberto Berardi.
Come per Cucchi
Un atteggiamento da parte del generale Nistri che ricorda quello tenuto per il caso di Stefano Cucchi. L’Arma mostra vicinanza al dolore di una famiglia, anche se a termine del processo di primo grado, nel dicembre scorso, il maresciallo Pegoraro è stato assolto perché il fatto non costituisce reato. Una sentenza che la madre del 32enne ha contestato con forza e sulla quale chiede che la giustizia possa fare un passo indietro. «È stato un processo farsa, era tutto già scritto — protestò allora la madre — questo è il secondo proiettile sparato a mio figlio Mauro, l’hanno ucciso una seconda volta. È dal primo giorno di udienza che me ne sono resa conto: era tutto già scritto, è stata solo una farsa».
La lettera appello
Due mesi fa la madre di Mauro aveva scritto anche una lunga lettera-appello indirizzata proprio al comandante generale dell’Arma. «Mio figlio — scriveva — è stato picchiato e brutalmente ammazzato solo per essersi difeso da un carabiniere che lo voleva, senza ragione, privare della sua libertà. Ha difeso solo la sua vita Mauro quel maledetto giorno, non mettendo comunque in pericolo la vita di nessun altro. Mauro non aveva commesso nessun reato, sig. Generale, non aveva fatto del male a nessuno quel maledetto 29 luglio, quando si è visto accerchiato e braccato da 10 uomini in divisa comandati da Pegoraro, che per oltre 3 ore e con oltre 40 gradi di calore, lo hanno tenuto sequestrato presso la sua dimora, imponendogli un ricovero per il quale non c’era nessuna disposizione giuridica e senza nessuna situazione di pericolo che potesse legittimare tale intervento»
Un omaccione
Mauro era un omaccione massiccio e muscoloso che dopo la laurea aveva cominciato ad avere qualche problema di tenuta psichica. «Ma non aveva mai fatto male a nessuno» tengono a precisare i familiari . Qualche giorno prima di essere ucciso era andato nella caserma dei carabinieri perché voleva organizzare una manifestazione contro gli islamici. Vista l’insistenza i carabinieri avevano pensato che fosse disturbato e gli avevano detto che forse sarebbe stato meglio farsi visitare da un medico. Il netto rifiuto di Mauro aveva fatto scattare la reazione da parte dei carabinieri culminata, dopo una drammatica giornata, con l’uccisione del 32enne. Il maresciallo Marco Pegoraro voleva infatti a tutti i costi che Mauro accettasse di salire in ambulanza per andare a farsi visitare. Ma lui si era energicamente opposto.
In fuga scalzo
Ad un certo punto era pure fuggito di casa, scalzo e in mutande, per i campi. Secondo la ricostruzione della difesa della famiglia venne inseguito e, dopo che un carabiniere lo aveva immobilizzato a terra, il maresciallo Pegoraro aveva comunque sparato da una distanza di un metro e mezzo, colpendolo a morte al fianco. «Fu un vero e proprio assedio a una persona senza alcuna colpa — affermano i familiari — il tutto in modo ingiustificato, visto che nessuno aveva autorizzato il Tso». I giudici però hanno ritenuto più convincente le argomentazioni dei legali del maresciallo Pegoraro, secondo i quali il carabiniere avrebbe agito per legittima difesa e sparò temendo che Mauro potesse uccidere il collega a terra.