U.s.m.i.a. Carabinieri: indossare l’uniforme invernale con temperature estive costituisce un rischio grave e prevedibile
USMIA Carabinieri ritorna a denunciare il forte disagio, ma soprattutto il rischio per la salute dei lavoratori che svolgono servizio operativo indossando uniformi non adeguate alle condizioni climatiche esterne. Un pericolo, concreto ed attuale, da non sottovalutare che aumenta con l’avanzare dell’età anagrafica. Il repentino innalzamento della temperatura climatica rappresenta un fenomeno ciclico che, sebbene largamente prevedibile e pertanto doverosamente affrontabile da parte dell’Amministrazione, continua a diffondere sofferenza tra il personale, ancora costretto ad indossare capi di vestiario invernali nonostante il termometro segni temperature pressoché estive (in questi giorni in molte Regioni il termometro ha sfiorato e in alcuni superato i 30°).
Una condizione irragionevole – sottolinea preoccupato il Segretario Generale Carmine Caforio – che si pone in netto contrasto con le disposizioni del D.Lgs. 81/2008 (Testo Unico Sicurezza Luoghi di Lavoro). Infatti, la citata norma impone perentoriamente al datore di lavoro di valutare “TUTTI I RISCHI PER LA SICUREZZA E LA SALUTE DEI LAVORATORI”, tra i quali rientrano anche le conseguenze nocive che un abbigliamento inadeguato, associato a condizioni climatiche sfavorevoli, potrebbero causare ai militari. Sulla base di questi oggettivi presupposti, è ragionevolmente desumibile che il problema in esame, oltre ad avere ripercussioni negative sulle condizioni fisiche, sul benessere e sulla reattività dei Carabinieri, aumenta in modo esponenziale lo stress da lavoro correlato, indebolendo, di conseguenza, l’efficienza istituzionale.
Basterebbe immedesimarsi nel Carabiniere impiegato in un turno di servizio nella fascia oraria più calda della giornata – con temperature prossime o superiori ai 30 gradi – per comprendere con quale spirito si recherà in caserma, consapevole che, da lì a poco, al posto dei jeans e di una comoda maglietta di cotone, dovrà farsi la sauna “imbacuccato” dall’uniforme invernale. Infatti – prosegue Caforio –, auspicando che l’Amministrazione decida di valutare concretamente l’adozione di una “maglietta polo” da assegnare a tutto il personale impiegato nei servizi operativi esterni – come già da anni avviene in tutte le Forze di Polizia Italiane ed Europee – sarebbe opportuno adottare una disposizione che, in ragione delle temperature climatiche, attribuisca, ai Comandanti di Corpo, il potere del cambio stagionale dell’uniforme.
Conclude Caforio – non è più accettabile che l’Amministrazione, solo per rimanere ancorata a modelli volti esclusivamente a custodire la forma (es. la spallina della giubba o della camicia ove si va ad ancorare la pericolosa bandoliera), trascuri invece l’efficienza dei dispositivi e la sicurezza dei militari. Di qui la necessità di classificare l’uniforme di servizio – non quella ordinaria – come un D.P.I. (Dispositivo Protezione Individuale). Appare indecoroso per l’immagine dell’Arma e anacronistico rispetto ai tempi attuali, incontrare ancora un Carabiniere, zuppo di sudore, che si ripara all’ombra di un albero o peggio che si rinfresca la testa sotto una fontana pubblica per evitare uno svenimento a causa di un colpo di calore.
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