Teo Luzi: “Su Cucchi ha vinto lo Stato di diritto, ora scatteranno le espulsioni dall’Arma”
La sentenza della Cassazione che ha scritto la parola fine sui carabinieri responsabili della morte di Stefano Cucchi «non può essere che una vittoria». E per loro scatterà l’espulsione dall’Arma. Ma anche per quella di primo grado sui depistaggi c’è la decisione di assumere alcuni provvedimenti con effetto immediato. Il generale Teo Luzi, comandante dei carabinieri, aveva annunciato qualche mese fa che non ci sarebbero stati sconti a livello interno in una delle storie più sofferte dei 207 anni di vita dell’Anna. E ora spiega le conseguenze sul piano istituzionale di un caso che ha richiesto 13 anni per accertare cos’era realmente accaduto, fino ad arrivare alla verità che senza la tenacia dei familiari della vittima si sarebbe sciolta dietro ricostruzioni di comodo e versioni di facciata. In una lunga intervista rilasciata a Massimo Righi per La Stampa il Comandante Generale dell’arma dei carabinieri interviene sul caso Cucchi dopo la sentenza della cassazione.
Comandante, Ilaria Cucchi ha detto “Abbiamo vinto noi e ha vinto lo Stato”. La sente anche lei come una vittoria dello Stato e, quindi, dell’Arma?
«La sentenza della Corte di Cassazione del 4 aprile ha accertato in modo definitivo la responsabilità preterintenzionale di due militari dell’Arma per la morte di Stefano Cucchi. L’accertamento della verità sancito da una sentenza definitiva non può essere che una vittoria ed è un’affermazione dello Stato di diritto di cui l’Arma è sempre stata garante. Un epilogo che tuttavia non risarcisce nessuno. Rimane il dolore di tutti. Per primo, quello della famiglia Cucchi, alla quale esprimo ancora una volta la mia sentita vicinanza. Per tutti gli altri militari tuttora imputati a diverso titolo nei due distinti processi, auspichiamo una rapida definizione delle loro posizioni. Indipendentemente dalla presunzione di innocenza e dall’esito di entrambi i processi, sento il dovere di dire che l’Arma ha vissuto con profonda sofferenza l’intera vicenda per la gravità delle condotte contestate, radicalmente lontane dai principi e dai valori che da sempre contraddistinguono l’impegno dei carabinieri al servizio del Paese e dei suoi cittadini».
Lei ha detto che con le sentenze definitive non ci sarebbero stati sconti. Vuol dire che gli otto condannati in primo grado resteranno al loro posto dopo i trasferimenti già avvenuti?
«Gli otto militari condannati in primo grado, a seguito del loro rinvio a giudizio, sono stati trasferiti da incarichi di prestigio e funzioni di particolare responsabilità a incarichi d’ufficio. Ribadisco che, nel rispetto del principio di legalità, al passaggio in giudicato delle sentenze, saranno tempestivamente definiti i procedimenti disciplinari nei loro confronti, così come previsto dalle norme in materia. Nel frattempo, tenuto conto delle condanne di primo grado, con la previsione per alcuni di pene accessorie suscettibili di incidere nel rapporto d’impiego, già dai prossimi giorni saranno posti a disposizione per svolgere compiti esclusivamente interni, senza personale alle dipendenze. Si tratta dello stesso tipo di provvedimenti adottati in casi analoghi da altre Amministrazioni dello Stato e che garantisce – fino al giudicato – l’assenza dl vulnus nell’esercizio delle funzioni svolte.
I condannati in via definitiva, invece, saranno espulsi dall’Arma?
«Certo perderanno Io status militare, già in applicazione delle pene accessorie di interdizione perpetua dai pubblici uffici.
La sentenza per i depistaggi è arrivata a 15 giorni dalla prescrizione. Prescrizione che si rischia più concretamente nel processo di appello-bis per due degli imputati accusati di falso. Dopo 13 anni, fermo restando il rispetto delle garanzie di difesa, non sentirebbe come un’ingiustizia non avere su tutti i fronti una verità processuale?
«In democrazia il rispetto delle regole è d’obbligo. Come lei, sono dell’opinione che l’accertamento compiuto della verità processuale passa da una sentenza di merito. Si tratta. peraltro, di processi con capi di imputazione particolarmente gravi per cui l’esigenza di una sentenza definitiva che chiarisca nel merito i tatti è fortemente sentita anche dall’Arma, così come da tutte le parti del processo e dalla stessa opinione pubblica. D’altro canto, i meccanismi della prescrizione sono parte integrante del rito processuale, per cui ritengo che definirla un’ingiustizia sarebbe una contraddizione in termini. Tengo a ribadire che, anche laddove dovesse intervenire una sentenza di prescrizione a carico di alcuni degli attuali imputati, l’Arma darà comunque corso ai procedimenti finalizzati all’accertamento delle relative responsabilità disciplinari sulla base delle risultanze processuali.
Tra le parti civili che dovranno essere risarcite per i depistaggi c’è anche il Comando Generale dell’Arma. Come procederete su questo fronte?
«Proseguiremo senza indugio per la strada intrapresa. La scelta di costituzione di parte civile del Ministero della Difesa ha una alta valenza etico-morale e ha inteso, innanzi-tutto, sottolineare il doveroso interesse dell’Arma all’affermazione della giustizia, cosi tutelando la propria immagine ne rispentto a condotte considerate lesive del proprio prestigio e della credibilità istituzionale. Questo è il significato autentico dell’essersi costituiti parte del processo: Io dobbiamo a tutti i carabinieri e ai cittadini, la cui fiducia alimenta il nostro impegno ed è motivo stesso del nostro essere. Eventuali somme risarcitorie saranno incamerate all’erario».
Cosa è cambiato concretamente nell’Arma dopo l’uccisione di Stefano Cucchi?
«L’omicidio Cucchi ha sollecitato un’ampia e profonda riflessione che ci ha portato a migliorare ulteriormente le procedure operative, specialmente in tema dl tutela delle persone in custodia. Abbiamo attivato una serie di iniziative, anche in collaborazione con il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, per accrescere la sensibilizzazione dei nostri militari sulla necessità di una tutela a tutto campo di chi si trova in stato di restrizione fisica. A questo si aggiungono rinnovate e più efficaci procedure di controllo interno all’Arma, con lo scopo principale di prevenire il rischio di condotte superficiali o comunque errare nei rapporti con il cittadino. A tal fine ci siamo dotati di una struttura di audit centrale con articolazioni periferiche per individuare qualsiasi eventuale incertezza comportamentale sotto il profilo deontologico».
La struttura è già operativa?
«Si funziona dallo scorso settembre e ha sede al Comando generale, ma lavora su tutto il territorio nazionale».
E ha già preso in esame qualche situazione specifica, anche del passato?
«In questa fase stiamo analizzando la piena aderenza delle procedure operative con le disposizioni in materia, evitando che si possano creare delle anomalie. E si concentra sull’attività dei reparti dalla sua nascita in avanti».
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